Introduzione alla variabilità cardiaca – prima parte
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La variabilità della frequenza cardiaca, anche detta variabilità cardiaca (Heart Rate Variability – HRV), negli ultimi tempi, sta assumendo un ruolo di tutto rispetto nel monitoraggio degli atleti nella performance sportiva. Da sempre, infatti, uno dei problemi principali nell’allenamento è stato il monitoraggio dei carichi di lavoro, il fisico del nostro atleta è in grado di reggere il volume di lavoro proposto in allenamento? L’organismo riesce a sopportare le intensità previste dai piani di lavoro? Il tempo a disposizione dell’atleta è sufficiente a recuperare tra una sessione di allenamento e la successiva?
A tutte queste domande bisogna dare una risposta se non si vuole andare incontro a problemi legati al sovrallenamento, per fare ciò sono necessari dei marker biologici che siano in grado di indicare il livello di stress a cui l’organismo è sottoposto e come esso risponde alle sollecitazioni proposte.
Tra i vari parametri che si possono utilizzare, la variabilità cardiaca è uno di quelli che ci potrebbe fornire utili indicazioni. Per approfondire il tema riporterò di seguito alcuni dati presi da uno studio di F. Shaffer e J. P. Ginsberg (2017).
Bisogna per prima cosa chiarire che i sistemi viventi sani sono anche adattabili, l’adattamento consiste anche nel poter modulare i propri processi interni in base agli stimoli sia interni che esterni e al contempo attivare processi biochimici in grado di ristabilire l’omeostasi fisiologica. A questo punto partiamo nel definire cos’è la variabilità cardiaca, essa consiste in variazioni degli intervalli di tempo tra i battiti cardiaci consecutivi chiamati intervalli interbattiti (InterBeat Interval – IBI).
Ad esempio il cuore non può essere accomunato ad un metronomo, ovvero esso non presenta battiti costanti e regolari, ma l’intervallo tra battiti consecutivi varia ed è costantemente modulato in modo tale da poter essere sempre pronto a rispondere correttamente agli stimoli siano essi stimoli inibitori che eccitatori. La variabilità cardiaca riflette la regolazione del sistema nervoso autonomo, della pressione arteriosa, dello scambio gassoso, dell’intestino, del cuore e del tono vascolare. Per cui, se un sistema sano è anche adattabile e complesso, lo stesso sistema biologico in condizioni di malattia potrebbe perdere o aumentare la sua complessità a discapito di una minore adattabilità, infatti le oscillazioni di un cuore sano sono complesse e in costante cambiamento e consentono al sistema cardiovascolare di adattarsi rapidamente alle improvvise sfide fisiche e psicologiche.
Ad oggi, per indagare la variabilità cardiaca facciamo ricorso a monitoraggi a di 24 ore, oppure a breve termine (circa 5 minuti) o a ultra-breve termine (<5 minuti).
Poiché le epoche di registrazione più lunghe rappresentano meglio i processi con fluttuazioni più lente (ad esempio ritmi circadiani) e la risposta del sistema cardiovascolare a una gamma più ampia di stimoli ambientali e carichi di lavoro, i valori a breve e ultra-breve termine non sono intercambiabili con i valori di 24 h.
Per analizzare i dati HRV si fa generalmente riferimento a indici relativi al dominio del tempo e ad indici riferiti al dominio della frequenza. Gli indici del dominio del tempo misurano il periodo di tempo tra i battiti cardiaci consecutivi, mentre gli indici del dominio della frequenza stimano la distribuzione della potenza assoluta o relativa in quattro bande di frequenza. Queste 4 bande di frequnza sono così suddivise: la banda Ultra-Low frequency ULF (≤0.003 Hz) indicizza le fluttuazioni negli intervalli interbattiti con un periodo compreso tra 5 minuti e 24 ore e viene misurata usando registrazioni a 24 ore. La banda Very- Low Frequency VLF (0.0033-0.04 Hz) è composta da ritmi con periodi tra 25 e 300 s. La banda Low Frequency LF (0,04-0,15 Hz) è composta da ritmi con periodi tra 7 e 25 secondi ed è influenzata dalla respirazione da circa 3 a 9 bpm (breaths per minute – respiri al minuto). L’ High Frequency HF (0,15-0,40 Hz) è influenzata anch’essa dalla respirazione da 9 a 24 bpm. Il rapporto tra LF e HF (rapporto LF / HF) può stimare il rapporto tra il sistema nervoso simpatico (SNS) e l’attività del sistema nervoso parasimpatico (PNS) in condizioni controllate. La potenza totale è la somma dell’energia nelle bande ULF, VLF, LF e HF per 24 ore e nelle bande VLF, LF e HF per registrazioni a breve termine.
Per quanto concerne il monitoraggio degli atleti, ci occuperemo solamente degli indici che possono essere ricavati dalle registrazioni a breve termine in quanto si vuole indagare soprattutto lo stato di equilibro tra SNS e PNS e inoltre la misurazione è più semplice e pratica da effettuare. Due processi distinti ma sovrapposti influenzano le misurazioni HRV a breve termine. La prima fonte è una relazione complessa e dinamica tra i rami simpatico e parasimpatico. La seconda fonte include i meccanismi regolatori che controllano le HR attraverso l’aritmia sinusale respiratoria (RSA, non è altro che un’aritmia fisiologica dovuta all’aumento e alla diminuzione della pressione intra-toracica durante gli atti respiratori, in conseguenza dei quali durante l’inspirazione la FC aumenta, mentre durante l’espirazione la FC tende a diminuire), il riflesso barocettore e le variazioni ritmiche nel tono vascolare.
In un cuore umano sano, esiste una relazione dinamica tra PNS e SNS. Il controllo PNS predomina a riposo. I nervi parasimpatici esercitano i loro effetti più rapidamente (<1 s) rispetto ai nervi simpatici (> 5 s). Poiché questi due sistemi possono produrre azioni contraddittorie, come accelerare e rallentare il cuore, il loro effetto su un organo dipende dal loro momentaneo equilibrio di attività. Mentre l’SNS può sopprimere l’attività PNS, allo stesso tempo potrebbe anche aumentarne la reattività. Un’aumentata attività PNS può essere associata a una diminuzione, a un aumento o a nessuna modifica dell’attività SNS. Ad esempio, subito dopo l’esercizio aerobico, il recupero delle risorse umane comporta la riattivazione della PNS mentre l’attività SNS rimane elevata.