I benefici delle ultramaratone sulla cartilagene articolare

ultramaratona

ultramaratona

In questo studio sono stati analizzati ultra-maratoneti che hanno affrontato prove multi-stadio di oltre 4486 km e ne sono stati ricavati i dati riguardo il turnover dei biomarker cartilaginei per comprendere come l’ultra-running possa influenzare la componente cartilaginea.

Spesso, tra i non addetti ai lavori, si è portati a pensare che le ultra-maratone possano provocare degenerazioni a carico della cartilagine articolare a causa dell’usura e dello stress eccessivo a cui è sottoposta, questo studio invece sembrerebbe confermare l’esatto contrario rispetto al pensiero comune.

“Il turnover della cartilagine e le alterazioni tissutali indotte dal carico sono spesso valutati quantificando le concentrazioni di biomarker cartilaginei nel siero. Ad oggi, le informazioni sugli effetti della ultramaratona sulla cartilagine articolare sono scarse.

L’ipotesi da cui prende il via la ricerca è la seguente: concentrazioni sieriche di proteina oligomerica della matrice cartilaginea (cartilage oligomeric matrix protein – COMP), matrix metalloproteinase  (MMP) -1, MMP-3, MMP-9, e altri biomarker cartilaginei aumenteranno durante l’ultramaratona multi-stadio.

Sono stati raccolti campioni di sangue da 36 corridori (4 femmine, età media, 49,0 ± 10,7 anni, indice di massa corporea medio, 23,1 ± 2,3 kg / m2 [all’inizio] e 21,4 ± 1,9 kg / m2 [alla fine dell’ultramaratona]) prima (t0) e durante (t1: 1002 km; t2: 2132 km; t3: 3234 km; t4: 4039 km) un’ultramaratona multistadio di 4486 km. I livelli sierici COMP, MMP-1, MMP-3, MMP-9, C2C e CPII sono stati valutati con test da laboratorio. Sono stati usati modelli lineari misti per rilevare cambiamenti significativi nei livelli dei biomarker sierici nel tempo delle variabili legate al peso corporeo, la velocità di corsa e il tempo di corsa giornaliero.

Le concentrazioni sieriche di COMP, MMP-9 e MMP-3 sono cambiate significativamente durante l’ultramaratona multi-stadio. In media, le concentrazioni sono aumentate durante il primo intervallo di misurazione (MI1: t1-t0) del 22,5% per COMP (IC 95%, 0,29-0,71 ng / mL), 22,3% per MMP-3 (IC 95%, 0,24-15,37 ng / ml) e il 95,6% per MMP-9 (IC 95%, 81,7-414,5 ng / mL) e rimasta stabile in MI2, MI3 e MI4. Le variazioni di MMP-3 sono state associate statisticamente ai cambiamenti nella COMP durante tutta la gara di ultramaratona).

Per concludere, elevati livelli di COMP indicano un aumento del turnover del COMP in risposta alla corsa estrema e l’associazione tra le variazioni indotte dal carico in MMP-3 e le variazioni in COMP suggerisce la possibilità che MMP-3 possa essere coinvolto nella degradazione del COMP. Tradotto in termini pratici, questi risultati suggeriscono che la cartilagine articolare è in grado di adattarsi anche ad attività fisiche estreme, spiegando possibilmente perché il rischio di malattia degenerativa delle articolazioni non è elevato tra i corridori.”

Le differenze tra sprinter e maratoneti

In generale si pensa che la corsa possa far dimagrire, ma la corsa è uno sport che al suo interno include tante sfaccettature. A livello macroscopico, il primo paragone che viene in mente è tra la corsa di velocità e quella di resistenza, tra il centometrista ed il maratoneta. Questa differenza si traduce anche nell’aspetto fisico, beh oggi parliamo proprio di questo  grazie ad un articolo di RunningArea. Il seguente è solo una breve e non completa panoramica delle differenze esistenti, vuole essere più che altro uno stimolo a ragionare su alcuni aspetti e non una trattazione accurata ed esaustiva.

“Il centometrista sembra un personaggio cinematografico degli anni ’80 mentre il maratoneta è come se avesse effettuato troppe diete. Sono entrambi corridori, quindi come mai non hanno un aspetto fisico simile?

Differente metabolismo

Il corpo umano utilizza tre percorsi metabolici specifici per fornire energia durante le diverse tipologie di corsa. Il sistema anaerobico alattacido viene utilizzato durante attività ad alta potenza che durano meno di 10 secondi circa mentre il sistema anaerobico lattacido (o glicolitico) viene utilizzato per un’intensità moderata che può durare fino a diversi minuti. Il sistema aerobico o ossidativo, invece, viene utilizzato per esercizi a bassa intensità della durata di diversi minuti o ore. A causa della durata estesa di una maratona, i maratoneti utilizzano il sistema ossidativo per circa il 95 per cento del tempo e il sistema glicolitico per circa il restante 5 per cento del tempo di corsa. Gli sprint sulle brevi distanze, invece, utilizzano principalmente il sistema anaerobico alattacido o fosfageno insieme al sistema glicolitico utilizzato in sprint di mezza distanza, come i 400 metri.

La frequenza cardiaca

La frequenza cardiaca è uno dei migliori predittori dell’intensità dell’esercizio tra lo sprint e la maratona. Durante uno sprint ad alta intensità, la frequenza cardiaca può raggiungere il 80-90% del tuo massimo. Questa frequenza cardiaca può essere sostenuta solo per un breve periodo di tempo. Per una maratona, la frequenza cardiaca è tipicamente compresa tra il 60 e il 70 per cento del massimo, e alcuni corridori di maratone esperti o di élite aumentano il livello di intensità riuscendo a sostenere una frequenza cardiaca pari al 70/80 per cento della loro frequenza cardiaca massima.

Programmi di allenamento

I programmi di allenamento per gli sprinter e i maratoneti variano in base alle esigenze specifiche delle differenti tipologie di corsa. Gli sprinter si concentrano sullo sviluppo di fibre muscolari a contrazione veloce e sullo sviluppo del  sistema fosfageno migliorando la velocità, la forza e la Potenza. È possibile sviluppare fibre muscolari veloci, utilizzando esercizi pliometrici e allenamento contro resistenze. I maratoneti, invece, si concentrano sullo sviluppo delle capacità cardiorespiratorie e resistenza.

Le fibre muscolari

Semplificando molto possiamo dire che ogni muscolo scheletrico contiene due tipi di fibre: a contrazione lenta e a contrazione rapida. Le fibre muscolari di tipo a contrazione lenta, o fibre di tipo I, sono fibre ossidative che producono contrazioni muscolari lente e sono altamente resistenti alla fatica. Le fibre muscolari veloci, o fibre di tipo II, producono contrazioni veloci che però si affaticano rapidamente. Di conseguenza, i maratoneti sviluppano tipicamente una quantità significativa di fibre muscolari di tipo I, mentre gli sprinter hanno principalmente fibre muscolari veloci, di tipo II.”

Gli estensori dell’anca e lo sprint

Attraverso la infografica di oggi presento uno studio, presente su Strenght & Conditioning Research, sull’importanza della muscolatura estensoria dell’anca rispetto a quella estensoria delle ginocchia negli sport di velocità ed in particolare negli sprinter.

Gli estensori dell’anca (ischiocrurali, grande gluteo e grande adduttore) e gli estensori del ginocchio (quadricipiti) sono i muscoli chiave nella maggior parte degli sport giocati a terra, in quanto consentono di saltare, sprintare e effettuare rapidi cambi di direzione. Tuttavia, il loro coinvolgimento proporzionale differisce nei vari gesti atletici, secondo le esatte esigenze di tale attività.

Questo studio indica che avendo muscoli estensori dell’anca proporzionalmente più grandi (ischiocrurali e grande gluteo) rispetto agli estensori del ginocchio potrebbe notevolmente apportare benefici alla capacità di sprint, suggerendo che la muscolatura estensoria delle anche è molto più importante rispetto ai muscoli estensori del ginocchio in questo particolare movimento.

Questo è un elemento fondamentale da tenere in considerazione per i programmi di allenamento della forza, perché gli esercizi come gli squat coinvolgono in misura simile gli estensori dell’anca e del ginocchio, mentre altri esercizi sono più dominati dall’anca (deadlift, lunge e hip thrust).

L’obiettivo dello studio è quello di esaminare la relazione tra il volume dei muscoli della gamba e i tempi di sprint sui 100 m. negli atleti di velocità di alto livello.

Il volume muscolare è stato misurato attraverso immagini ricavate dalla risonanza magnetica (MRI), e sono stati indagati 12 muscoli appartenenti all’estremità inferiore del corpo. Tra tutti i muscoli indagati, solamente il volume degli ischiocrurali e del grande gluteo, rapportati al peso corporeo dell’atleta, sembrano avere una correlazione positiva con i tempi di sprint.

Le conclusioni dello studio portano ad indicare che il volume normalizzato (relativo al peso corporeo) degli ischiocrurali e del grande gluteo influenza direttamente l’abilità di sprint dell’atleta sui 100 m. Comunque, è stato anche rilevato che il rapporto del volume del grande gluteo con quello del quadricipite e del volume degli ischiocrurali con quello del quadricipite è strettamente correlato a migliori tempi di sprint sui 100 m. negli atleti di alto livello.

Immagine di Result Inc. Gym

Correre con il sorriso migliora la tua performance

 Mi ha colpito molto questo articolo che spiega come correre sorridendo posso avere effetti positivi sull’incremento della performance sulle lunghe distanze, pertanto ho deciso di tradurlo (seppur abbastanza liberamente) e magari chissà qualcuno potrebbe prenderne spunto e verificare ulteriormente sul campo la veridicità di questa affermazione!

“Quando ho corso la mia prima maratona, ho piazzato la mia famiglia e gli amici in posizioni cruciali lungo il percorso con istruzioni precise per farmi sorridere mentre correvo…

Avevo inventato questo sistema strampalato basato su una serie di studi di Samuele Marcora, ricercatore presso l’Università di Kent, che ha dimostrato che si potrebbe fare una stima ragionevole di quanto pesante uno sforzo viene percepito misurando l’attivazione dei muscoli coinvolti nel sorriso o di quelli coinvolti nell’accigliarsi. Sulla base dell'”ipotesi di feedback facciale”, un’idea che risale a Charles Darwin, Marcora ha proposto che tale rapporto possa funzionare nella direzione opposta, ovvero: un duro sforzo ti faccia accigliare e, viceversa, il broncio/l’accigliarsi potrebbe far sì che uno sforzo venga percepito più difficoltoso: mentre sorridere potrebbe renderlo più leggero. Questa idea mi è balenata in mente all’inizio di quest’anno, quando stavo guardando la maratona Nike Breaking2. Mentre la corsa andava avanti – e, presumibilmente, lo sforzo fisico e mentale aumentava – era impossibile non notare il sorriso luminoso, apparentemente allegro che si irraggiava nel viso di Eliud Kipchoge. I sorrisi di Kipchoge erano una tattica deliberata per rilassarsi e correre nonostante l’aumento significativo della fatica.

La strategia di Kipchoge fa effettivamente la differenza? Un nuovo studio nella rivista Psychology of Sport and Exercise di Noel Brick e i suoi colleghi all’università di Ulster esplora proprio questa domanda. Essi hanno preso 24 corridori i quali dovevano completare una serie di quattro corse di sei minuti e misurarono la loro economia di corsa (il parametro di efficienza è basato sulla quantità di ossigeno che si consuma ad un ritmo determinato), così come le le percezioni degli atleti, come ad esempio lo sforzo. Durante le prove, i volontari sono stati istruiti a sorridere, aggrottare il viso, rilassare le mani e la parte superiore del corpo (immaginando, ad esempio, che stavano tenendo delle patatine tra il pollice e le dita senza romperle), o semplicemente pensando ai loro soliti pensieri.

I risultati supportarono i benefici del sorriso. L’economia della corsa era poco più del 2 per cento migliore quando si sorrideva – un miglioramento che è paragonabile a quello che vedete negli studi di settimane o mesi di pliometria o allenamento con alti sovraccarichi.

Ecco come sembrava il consumo di ossigeno nelle quattro condizioni:

Dal punto di vista dell’ipotesi, è un po ‘sorprendente che l’economia della corsa non fosse significativamente peggiore nelle condizioni di broncio/aggrottamento del viso. D’altra parte, lo sforzo percepito è stato significativamente più elevato nelle condizioni di “broncio” rispetto agli altri. Marcora afferma che l’aumento dello sforzo è altrettanto significativo per le prestazioni al pari di un calo nell’economia di corsa. Lo sforzo percepito, dopo tutto, è ciò che determina se decidi di accelerare o rallentare.

Ci sono alcune sottigliezze interessanti nei risultati. Dieci dei 13 volontari maschi avevano migliorato l’economia di corsa quando sorridevano; mentre solo per quattro delle 11 volontarie donne il sorridere ha prodotto un incremente nell’economia della corsa. Brick cita una ricerca precedente che mostra che la percezione dello sforzo può essere alterata in presenza di un esaminatore di sesso opposto: gli uomini, ad esempio, affermano che tutto è facile quando lo scienziato che sta conducendo l’esperimento è una donna. Allo stesso modo, egli suggerisce, “un esperto maschio che chiede alle partecipanti femminili di sorridere in un ambiente sociale sconosciuto può involontariamente invocare preoccupazioni riguardo l’auto-presentazione e l’immagine di sé”.  Ad ogni modo, ripetere lo studio con uno sperimentatore femminile è uno dei suggerimenti degli autori per il futuro lavoro.

In una nota correlata all’esperimento, l’efficacia del sorriso può dipendere dalla produzione di un sorriso “reale”, che prevede “l’attivazione simmetrica del muscolo zigomatico maggiore e l’attivazione del muscolo orbicolare dell’occhio”. In altri termini significa sorridere con gli occhi, le guance e la bocca, e questo è ciò che è stato richiesto di fare ai volontari.

L’idea di migliorare l’economia della corsa – un aspetto che è notoriamente difficile da migliorare migliorando l’assetto della corsa – semplicemente sorridendo è considerevole. La spiegazione più probabile è che il sorriso favorisce uno stato emotivo più rilassato, a sua volta riducendo l’attività del sistema nervoso simpatico (che può influenzare la frequenza cardiaca) e la tensione muscolare, consentendo di correre in modo più efficiente. C’è ancora molto da indagare per confermare questa idea, ma per ora è un’indicazione senza rischi da provare.”