L’esercizio come medicina (parte 8) – Controindicazioni all’esercizio

Controindicazioni sull’esercizio

Lo scopo di questa sezione è discutere perché in alcune circostanze l’esercizio fisico non migliora la qualità della vita.
Anche se sia il cuore che i polmoni traggono benefici significativi dall’attività fisica, ci sono alcune controindicazioni nei casi in cui l’esercizio venga portato avanti da pazienti che soffrono di malattie cardiache o polmonari.
Pedersen e Saltin (2006) hanno valutato le possibili controindicazioni dell’esercizio nella maggior parte delle malattie in cui l’esercizio aveva mostrato effetti benefici. Per esempio, nel caso di pazienti con cardiopatia coronarica l’esercizio è controindicato finché le condizioni del paziente non sono stabili per almeno 5 giorni; dispnea a riposo, stenosi aortica, pericardite, miocardite, endocardite, febbre e ipertensione grave sono tutte controindicazioni all’esercizio (Pedersen e Saltin, 2006).
Black et al. (1975) sono stati tra i primi a scoprire che l’esercizio intenso può causare danni ingenti alle placche coronariche, portando all’occlusione delle arterie corrispondenti. Ad ogni modo, anni dopo, fu scoperto che anche se il rischio di arresto cardiaco si alzava transitoriamente durante una singola sessione di esercizio vigoroso, un’attività fisica intensa ma abituale si associava invece a una generale diminuzione del rischio (Siscovick et al., 1984; Albert et al., 2000).
Non esistono controindicazioni assolute all’esercizio moderato nel caso di pazienti che soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva (Pedersen e Saltin, 2006).
Ad ogni modo, nel caso di pazienti con asma è raccomandata una pausa dall’allenamento ogni volta in cui si verifica una riacutizzazione.
Nei casi di infezioni si raccomanda una pausa finché il paziente non è rimasto asintomatico per un giorno intero, dopo il quale l’allenamento può essere gradualmente ripreso (Pedersen e Saltin, 2006).
Per quanto riguarda le patologie muscolari, ossee e articolatorie, come ad esempio osteoartrite e artrite reumatoide, l’esercizio non è indicato in caso di infiammazione acuta delle giunture, se il dolore aumenta dopo l’allenamento e nei casi in cui ci sia pericolo di pericarditi e pleuriti (Pedersen e Saltin, 2006).
L’allenamento di pazienti con osteoporosi dovrebbe includere attività a basso rischio di caduta (Pedersen e Saltin, 2006).
Nel caso di pazienti malati di cancro che stiano affrontanto la chemio o radioterapia, l’esercizio è controindicato quando la concentrazione dei leucociti scende sotto 0.5 x 109 cellule L-1, l’emoglobina sotto 100 g * L-1, la concentrazione delle piastrine sotto 20 x 109 cellule L-1 e la temperatura è sopra i 38°C.
I pazienti con metastasi ossee non dovrebbero affrontare Strenght & Conditioning ad alto carico. Nel caso di infezioni, si raccomanda una pausa dall’allenamento finché il paziente non è stato asintomatico per un’intera giornata, dopo la quale l’allenamento può essere lentamente ripreso (Pedersen e Saltin, 2006).
Una grande preoccupazione è se l’allenamento possa influenzare gli effetti anticancerogeni della tradizionale terapia citotossica. La potente interazione tra esercizio ed efficacia della chemioterapia è biologicamente plausibile: infatti, precedenti studi preclinici hanno riportato sia un effetto inibitorio (Baracos, 1989) che uno di aumento (Thompson et al., 1989) a seguito dell’allenamento da esercizi di resistenza nel caso della crescita e progressione del tumore mammario, anche se altri non hanno riportato alcuna associazione (Jones et al., 2005).
Nel caso di pazienti diabetici, sia di tipo 1 che di tipo 2, l’esercizio dovrebbe essere rimandato se il glucosio è >2.5 g*L-1 insieme a chetonuria o >3.0 g*L-1 anche senza chetonuria. In entrambi i casi è opportuno attendere finché il tasso di glucosio non sia ripristinato.
Nel caso di pazienti con ipertensione e retinopatia proliferativa attiva, l’allenamento ad alta intensità o quello che include manovre tipo Valsalva dovrebbe essere evitato. Pazienti con neuropatia e ulcere del piede incipienti dovrebbero evitare le attività che prevedano la sopportazione del peso del paziente stesso.
Nel caso di disturbi legati a sindrome metabolica, come resistenza all’insulina, dislipidemia e obesità, non ci sono controindicazioni generali ma l’allenamento dovrebbe tener conto di ogni patologia associata (Pedersen e Saltin, 2006).
Infine, i pazienti ipertesi con una pressione sanguigna >180/105 dovrebbero iniziare la terapia farmacologica prima di intraprendere un’attività fisica regolare (controindicazione relativa) (Pescatello et al., 2004).
Non ci sono prove che il rischio di morte improvvisa o ictus aumenti nelle persone fisicamente attive che soffrono di ipertensione (Tipton, 1999). L’American College of Sports Medicine (ACSM) raccomanda cautela quando si compiono esercizi dinamici molto intensi o strenght & conditioning con pesi molto gravosi. I pazienti con ipertrofia cardiaca del lato sinistro dovrebbero essere particolarmente attenti con lo strenght & conditioning pesante, e pazienti con cardiopatia coronarica dovrebbero astenersi dalle situazioni di esercizio brevi ma intense.
È risaputo che le ripetizioni eccentriche causano danni strutturali alle cellule muscolari o reazioni infiammatorie all’interno dei muscoli, come è dimostrato da un aumento dell’attività plasmatica di enzimi citosolici, sarcolemma e disgregazione della linea-Z (Armstrongeet al., 1983).
La gravità del danno e la portata del disagio vengono esacerbate nel tempo e possono durare per diversi giorni. Gli effetti dannosi delle ripetizioni eccentriche possono compromettere le sessioni di esercizio successive a causa del dolore muscolare residuale, della restrizione del movimento e della ridotta capacità di esercizio ad un’intensità che potrebbe essere benefica per chi si sta allenando (Howatson e van Someren, 2008). Per questo bisognerebbe prestare cautela nei programmi di esercizio che includono ripetizioni eccentriche, sopratutto nel caso di amatori o anziani.

Osservazioni conclusive

L’esercizio è così benefico per la salute che dovrebbe essere considerato alla stregua di un medicinale. Come per ogni altro medicamento, il dosaggio è estremamente importante per non lasciare che si verifichino effetti collaterali sfavorevoli.
Alcuni degli effetti positivi dell’esercizio sono applicabili alla popolazione generale. Tra questi è prominente ruolo che questo ricopre nella prevenzione di molte malattie e della longevità in salute.
In aggiunta, l’esercizio può anche essere considerato come trattamento per le patologie accertate, incluse condizioni diffuse come depressione, diabete o malattie cardiovascolari.

L’esercizio come medicina (parte 7) – Esercizio: un farmaco psicoattivo

Esercizio: un farmaco psicoattivo

Gli effetti dell’esercizio sulle funzioni cerebrali ha ricevuto molta attenzione. Nei primi anni ’80 si è dimostrato che l’esercizio aumenta le β-endorfine nel sangue periferico umano (Bortz et al., 1981; Carr et al., 1981). Le concentrazioni elevate di β-endorfine causate dall’esercizio sono successivamente state collegate ad una varietà di cambiamenti psicologici e fisiologici, incluse modifiche dell’umore e “euforia indotta dall’esercizio”, percezione alterata del dolore e risposta a numerosi ormoni dello stress (ormone della crescita, ACTH, prolattina, catecolamine e cortisolo) (Harber and Sutton, 1984).
L’allenamento puà influenzare positivamente le funzioni cognitive (Dishman et al., 2006;Vaynman and Gomez-Pinilla, 2006). L’esercizio migliora l’apprendimento e la memoria (van Praag et al., 1999), migliora la qualità del sonno, contrasta il declino mentale dovuto all’età (Laurin et al., 2001), e facilita il recupero funzionale a seguito di traumi cerebrali (Grealy et al., 1999) o depressione (Siuciak et al., 1996; Shirayama et al., 2002).
L’esercizio è uno stimolo molto potente per l’induzione della neurogenesi nel giro dentato degli adulti (van Praag et al., 1999) che contribuisce a rimodellare i circuiti dell’ippocampo e aumenta la funzionalità cognitiva.
L’allenamento può persino mitigare le conseguenze dell’esposizione acuta a diversi tipi di stress psicologico (Dishman et al., 2006), e le alterazioni nei sistemi legati alla serotonina e alla noradrenalina possono spiegare tali reazioni (Dishman et al., 2006).
La maggior parte degli effetti positivi dell’esercizio, come menzionato in precedenza, sono stati collegati all’induzione, in diverse aree del cervello, delle proteine neurotrofiche, inclusa BDNF, fattore neurotrofico derivato dalla cellula gliale (GDNF) e fattore della crescita insulinica (IGF).
Ancora non è chiaro se le risposte metaboliche del cervello all’attività fisica acuta si estendano oltre le regioni specificatamente coinvolte nel controllo autonomo motorio, sensoriale o cardiovascolare (Dishmanet al., 2006).
Aumenti transitori nell’utilizzo di glucosio cerebrale locale e della circolazione sanguigna in zona cerebrale sono stati ritrovati in diverse aree del cervello come risposta alla corsa sotto sforzo sul treadmill, sia nel caso dei ratti che in quello degli umani (Vissing et al., 1996).
In più, la portata di scarica di un campione selezionato di cellule piramidali dell’ippocampo aumenta man mano che aumenta la velocità di corsa (Czurko et al., 1999), e l’esercizio accresce la capacità metabolica della corteccia motoria e del corpo striato (McCloskey et al., 2001).
Gli effetti psicoattivi dell’esercizio che abbiamo appena menzionato non sono però esenti da rischi. Sono stati infatti individuati modelli comportamentali patologici tra gli utenti delle palestre (Lejoyeux et al., 2008). Come si è visto con i pazienti affetti da disturbi alimentari, gli individui attivi tendono a preoccuparsi circa la propria forma fisica e a prestare un’attenzione speciale ai mutamenti delle proprie abitudini nutritive, mostrano una dipendenza da allenamento e posseggono tratti di personalità legati al perfezionismo (Freimuth et al., 2011).
Tale disordine legato all’immagine corporea è stato definito come una sorta di anoressia al contrario, “vigoressia” o dismorfia muscolare (Lejoyeux et al., 2008).
Sulla base della valutazione di un ampio bacino di studi sulla dipendenza da esercizio, è stato stimato che la sua diffusione tra la popolazione generale è vicina al 3%. In certi gruppi però, come ad esempio gli ultra-maratoneti, i body builders e gli studenti di scienze motorie, la percentuale è anche più alta (Freimuthet al., 2011; Sussman e Sussman, 2011).

L’esercizio come medicina (parte 5) – Adattamenti sistemici all’esercizio

Adattamenti sistemici all’esercizio

Gli adattamenti indotti dall’esercizio sono particolarmente evidenti nei sistemi cardio-respiratorio e muscolo-scheletrico, così come nella composizione corporea e nel metabolismo (Warburton et al., 2006a; Lee et al., 2010). Ad ogni modo, i benefici documentati in termini di salute includono anche una diminuzione dei sintomi di depressione e ansia (Kujala, 2011).
La muscolatura scheletrica è il bersaglio principale dell’allenamento, perché le sue modifiche sono cruciali nel potenziamento della resistenza e dell’efficienza metabolica (Matsakas and Narkar, 2010). Le fibre muscolari sono comunemente classificate come fibre a contrazione lenta di Tipo I, fibre ossidative con un alto contenuto mitocondriale, oppure come fibre a contrazione rapida, di tipo II, o fibre glicolitiche, che hanno meno mitocondri. Gli esercizi di resistenza causano un aumento della produzione di mitocondri, un passaggio nella distribuzione delle fibre da glicolitica a ossidativa e un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi che nel tempo conduce ad un aumento della capacità aerobica e ritarda l’insorgenza di patologie come obesità, diabete di Tipo 2 e malattie cardiovascolari (Holloszy e Coyle, 1984; Mootha et al., 2003).
È stato dimostrato che un esercizio regolare può ridurre l’adiposità addominale e migliorare il controllo del peso (Warburton et al., 2006a), potenziare i profili lipoproteici (ad esempio riducendo i livelli dei trigliceridi, aumentando i livelli delle lipoproteine ad alta densità e diminuendo quelli delle proteine a bassa densità), migliorare l’omeostasi del glucosio e la sensibilità all’insulina, ridurre la pressione del sangue, aumentare il tono autonomo, ridurre l’infiammazione sistemica, ridurre la coagulazione del sangue, migliorare il flusso coronarico, aumentare la funzione cardiaca e rafforzare la funzione endoteliale (Warburton et al., 2006).
Un’attività fisica regolare è associata anche al miglioramento del benessere psicologico (ad esempio attraverso la riduzione dello stress, dell’ansia e della depressione) (Dunn et al., 2001).
Gli effetti benefici dell’esercizio sulle funzioni cognitive sono ben noti (Neeper et al., 1995). Il meccanismo che c’è dietro non è stato ancora pienamente compreso, ma sembra essere associato all’aumento dell’espressione dei fattori neurotropici in alcune aree del cervello. Un aumento dell’espressione di questi fattori è legato ad una memoria migliore e al progresso delle funzioni cognitive. I fattori neurotrofici derivati dal cervello (Brain-derived neurotrophic factor – BDNF) possono accrescere la sopravvivenza e la differenziazione dei neuroni, ed è stato dimostrato che l’esercizio volontario è responsabile di un loro incremento (Neeper et al., 1996).
Il benessere psicologico è particolarmente importante per la prevenzione e il controllo delle malattie cardiovascolari, ma ha anche implicazioni rilevanti nella prevenzione e nel controllo di altre patologie croniche come diabete, osteoporosi, ipertensione, obesità, cancro e depressione (Warburton et al., 2006).
È stato dimostrato che l’attività fisica si risolve in specifici adattamenti che interessano gli stati individuali di ognuna delle malattie citate. Per esempio, gli adattamenti che toccano l’omeostasi del glucosio nel diabete di Tipo 2 sono di estrema importanza. Una regolare attività fisica produce numerosi cambiamenti, incluso l’aumento delle attività di glicogeno sintetasi ed esochinasi, l’accrescimento dell’mRNA e dell’espressione proteica del trasportatore di membrana del glucosio GLUT-4 e il potenziamento della densità dei capillari muscolari (che porta al miglioramento della trasmissione del glucosio al muscolo) (Mandroukas et al., 1984).
L’esercizio causa una riduzione significativa del tasso di cancro (specialmente quello del colon e al seno) (Shephard e Futcher, 1997; Pedersen e Saltin, 2006). Le possibili spiegazioni del perché includono le riduzioni degli accumuli adiposi, l’aumento di spesa energetica che bilancia una dieta ad alto contenuto di grassi e cambiamenti causati dall’attività legati ai livelli di ormoni sessuali, alla risposta immunitaria, ai fattori di crescita insulinici o insulino-simili, alla generazione dei radicali liberi e agli effetti diretti sulla biologia cellulare dei tumori (Westerlind, 2003).
La maggioranza dei meccanismi citati è stata discussa nel contesto degli adattamenti cronici dati da un’attività fisica regolare. Ad ogni modo, è stato dimostrato che sessioni di esercizio isolate (ovvero dosi di esercizio separate) danno luogo a cambiamenti transitori, ma pur sempre benefici, nei fattori di rischio delle malattie croniche (Thompson et al., 2001).
Molti degli adattamenti dovuti all’allenamento derivano da una singola sessione di esercizio che stimola i cambiamenti cellulari a livello genetico generando gli effetti cumulativi dell’allenamento.
L’effetto acuto dell’esercizio corrisponde a riduzioni transitorie dei livelli di trigliceridi, aumento del livello di colesterolo HDL, diminuizione della pressione sanguigna e dell’insulino-resistenza e miglioramento del controllo del glucosio (Thompson et al., 2001).
Questi cambiamenti acuti sostengono il ruolo importantissimo che le singole sessioni di esercizio hanno sullo stato di salute. Di conseguenza, ogni singola dose di esercizio ha un impatto rilevante sulla salute. La figura qui sotto riassume efficacemente gli effetti benefici dell’esercizio.

Per chi fosse interessato ad approfondire qui trovate il primo articolo di questa lunga serie.

L’esercizio come medicina (parte 2) – L’esercizio fa bene alla salute

Prosegue l’articolo riguardante la correlazione tra esercizio fisico e salute. Potete rileggere la prima parte qui.

L’esercizio fa bene alla salute

L’esercizio è una delle terapie prescritte più frequentemente sia in salute che in malattia. C’è un’evidenza inconfutabile che dimostra gli effetti benefici dell’esercizio sia nella prevenzione che nel trattamento di diverse patologie. I ricercatori hanno dimostrato che sia gli uomini che le donne che riportano un aumento nei livelli di attività fisica e fitness hanno riduzioni nel rischio relativo di morte di circa il 20-35% (Blair et al., 1989; Macera et al., 2003).
La ricerca recente suggerisce che incrementi modesti nella spesa di energia dovuti all’attività fisica
(∼1000 kcal a settimana) o un aumento di forma fisica di 1 MET (equivalente metabolico) sono associati con un abbassamento della mortalità di circa il 20% (Myers et al., 2004).
Le donne di mezza età fisicamente inattive (cioè che si concedono meno di un’ora di esercizio a settimana) subiscono un aumento del 52% della mortalità per tutte le cause, un raddoppio della mortalità legata ai problemi cardiovascolari e un aumento del 29% nella mortalità da cancro rispetto alle coetanee fisicamente attive (Hu et al., 2004).
Di conseguenza, è chiara l’evidenza per cui un’attività fisica regolare produce effetti significativi sulla salute e riduce il rischio di morte prematura per tutte le cause e per malattie cardiovascolari, in particolare tra le persone asintomatiche di ambo i sessi.
I benefici dell’attività fisica sono evidenti non soltanto nelle persone in salute ma anche nei pazienti. Studi osservazionali e randomizzati hanno mostrato che una regolare attività fisica contribuisce al trattamento di svariate malattie croniche (Bouchard et al., 1994; Warburton et al., 2006).
Esistono dati che supportano la prescrizione di esercizio nella prevenzione primaria e secondaria delle malattie polmonari e cardiovascolari (cardiopatia coronarica, broncopneumopatia cronica ostruttiva, ipertensione, claudicazione intermittente); dei disordini metabolici (diabete di Tipo 2, dislipidemia, obesità, resistenza all’insulina); delle patologie muscolari, ossee e articolatorie (artrite reumatoide, fribromialgia, sindrome da stanchezza cronica, osteoporosi); del cancro e della depressione (Pedersen and Saltin, 2006;Warburton et al., 2006).
Anche se l’esercizio è un agente terapeutico efficace per tutte le patologie menzionate, come per ogni medicinale è necessario tenere in considerazione dosaggio (volume e intensità dell’esercizio), frequenza di somministrazione (numero di sessioni di allenamento per settimana), tipologia (esercizio aerobico vs. esercizio di resistenza), effetti sistemici o psicoattivi e controindicazioni ed effetti collaterali dell’esercizio per ottenere il risultato clinico migliore.
Ad esempio, sia l’allenamento di resistenza che quello aerobico si sono dimostrati benefici nel controllo del diabete, ma ad ogni modo l’allenamento di resistenza potrebbe dare benefici maggiori nel controllo glicemico rispetto a quello aerobico (Dunstan et al., 2005).