La depressione, definita anche “male del secolo”, è un disturbo dell’umore che si manifesta accompagnandosi principalmente a una bassa autostima e alla perdita di interesse e/o piacere nelle attività normalmente piacevoli. E’ ormai noto che tale patologia va affrontata di sicuro attraverso una terapia psicologica o psichiatrica mirata, ma da recenti studi emerge che anche l’attività fisica può influire positivamente sul miglioramento dei sintomi depressivi.
Da una metaanalisi condotta da Brett R. Gordon (2018) è emerso che vi è una relazione di efficacia tra l’allenamento contro resistenza e i sintomi depressivi. In questa meta-analisi di 33 studi clinici che ha visto l’inclusione di 1877 partecipanti, l’allenamento con esercizi di resistenza è stato associato a una riduzione significativa dei sintomi depressivi. Il volume totale dell’allenamento, lo stato di salute e il miglioramento dei gradienti di forza non erano associati all’effetto antidepressivo.
Pertanto l’allenamento con esercizi di resistenza sembra poter essere correlato positivamente alla riduzione dei sintomi della depressione indipendentemente dallo stato di salute, dal volume totale prescritto di esercizi contro resistenza o da miglioramenti significativi della forza.
Saranno necessari altri studi per poter approfondire la relazione che intercorre tra la depressione e l’esercizio fisico, quali meccanismi ne sono coinvolti e come poter agire al meglio per contenerne i sintomi, ma una strada importante è stata tracciata.
Gli effetti dell’esercizio sulle funzioni cerebrali ha ricevuto molta attenzione. Nei primi anni ’80 si è dimostrato che l’esercizio aumenta le β-endorfine nel sangue periferico umano (Bortz et al., 1981; Carr et al., 1981). Le concentrazioni elevate di β-endorfine causate dall’esercizio sono successivamente state collegate ad una varietà di cambiamenti psicologici e fisiologici, incluse modifiche dell’umore e “euforia indotta dall’esercizio”, percezione alterata del dolore e risposta a numerosi ormoni dello stress (ormone della crescita, ACTH, prolattina, catecolamine e cortisolo) (Harber and Sutton, 1984).
L’allenamento puà influenzare positivamente le funzioni cognitive (Dishman et al., 2006;Vaynman and Gomez-Pinilla, 2006). L’esercizio migliora l’apprendimento e la memoria (van Praag et al., 1999), migliora la qualità del sonno, contrasta il declino mentale dovuto all’età (Laurin et al., 2001), e facilita il recupero funzionale a seguito di traumi cerebrali (Grealy et al., 1999) o depressione (Siuciak et al., 1996; Shirayama et al., 2002).
L’esercizio è uno stimolo molto potente per l’induzione della neurogenesi nel giro dentato degli adulti (van Praag et al., 1999) che contribuisce a rimodellare i circuiti dell’ippocampo e aumenta la funzionalità cognitiva.
L’allenamento può persino mitigare le conseguenze dell’esposizione acuta a diversi tipi di stress psicologico (Dishman et al., 2006), e le alterazioni nei sistemi legati alla serotonina e alla noradrenalina possono spiegare tali reazioni (Dishman et al., 2006).
La maggior parte degli effetti positivi dell’esercizio, come menzionato in precedenza, sono stati collegati all’induzione, in diverse aree del cervello, delle proteine neurotrofiche, inclusa BDNF, fattore neurotrofico derivato dalla cellula gliale (GDNF) e fattore della crescita insulinica (IGF).
Ancora non è chiaro se le risposte metaboliche del cervello all’attività fisica acuta si estendano oltre le regioni specificatamente coinvolte nel controllo autonomo motorio, sensoriale o cardiovascolare (Dishmanet al., 2006).
Aumenti transitori nell’utilizzo di glucosio cerebrale locale e della circolazione sanguigna in zona cerebrale sono stati ritrovati in diverse aree del cervello come risposta alla corsa sotto sforzo sul treadmill, sia nel caso dei ratti che in quello degli umani (Vissing et al., 1996).
In più, la portata di scarica di un campione selezionato di cellule piramidali dell’ippocampo aumenta man mano che aumenta la velocità di corsa (Czurko et al., 1999), e l’esercizio accresce la capacità metabolica della corteccia motoria e del corpo striato (McCloskey et al., 2001).
Gli effetti psicoattivi dell’esercizio che abbiamo appena menzionato non sono però esenti da rischi. Sono stati infatti individuati modelli comportamentali patologici tra gli utenti delle palestre (Lejoyeux et al., 2008). Come si è visto con i pazienti affetti da disturbi alimentari, gli individui attivi tendono a preoccuparsi circa la propria forma fisica e a prestare un’attenzione speciale ai mutamenti delle proprie abitudini nutritive, mostrano una dipendenza da allenamento e posseggono tratti di personalità legati al perfezionismo (Freimuth et al., 2011).
Tale disordine legato all’immagine corporea è stato definito come una sorta di anoressia al contrario, “vigoressia” o dismorfia muscolare (Lejoyeux et al., 2008).
Sulla base della valutazione di un ampio bacino di studi sulla dipendenza da esercizio, è stato stimato che la sua diffusione tra la popolazione generale è vicina al 3%. In certi gruppi però, come ad esempio gli ultra-maratoneti, i body builders e gli studenti di scienze motorie, la percentuale è anche più alta (Freimuthet al., 2011; Sussman e Sussman, 2011).
Vie di trasduzione del segnale regolate dall’esercizio nel caso della muscolatura scheletrica
La regolazione delle funzioni cellulari attraverso l’esercizio dipende da da tanti stimoli: alterazioni nella concentrazione dei metaboliti, un cambiamento del rapporto ATP : ADP, cambiamenti nella concentrazione intracellulare di Ca2+ o nel pH intracellulare, o ancora attivazioni delle vie di trasduzione del segnale sensibili allo stress ossidativo (Sakamoto e Goodyear, 2002; Ji et al., 2004).
Chiarire il meccanismo di segnalazione molecolare che consente al muscolo scheletrico di rispondere allo stimolo contrattile e che media gli adattamenti all’esercizio è di grande importanza
(Sakamoto e Goodyear, 2002).
Nella muscolatura scheletrica il segnale Ca2+ è molto importante. Oltre ad attivare la contrazione muscolare attraverso il sistema della troponina, il Ca2+ ha un ruolo anche nella regolazione di proteine intracellulari importanti come PKC, calcineurina e chinasi della calmodulina, le quali mediano la trasduzione del segnale cellulare (Berchtold et al., 2000).
Più recentemente, è stato dimostrato che livelli bassi o moderati di specie reattive dell’ossigeno (ROS) giocano ruoli multipli nella regolazione delle cellule, come ad esempio il controllo dell’espressione genica, la regolazione delle vie di trasduzione del segnale e la modulazione della produzione di forza della muscolatura scheletrica (Reid, 2001) (vedi Figura 3).
Un riassunto delle vie di trasduzione del segnale regolate dall’esercizio della muscolatura scheletrica.
Radicali liberi a contenuto d’ossigeno ed esercizio: l’allenamento come intervento antiossidante
Il ruolo dei ROS negli adattamenti della muscolatura scheletrica dovuti all’esercizio è stato studiato estensivamente (Salminen e Vihko, 1983; Gomez-Cabrera et al., 2008).
L’idea che ci siano effetti deleteri legati al ROS è restata saldamente ancorata nelle menti degli scienziati nel corso degli ultimi 30 anni, eppure ci sono prove crescenti del fatto che la presenza continuata di basse concentrazioni di radicali liberi è capace di indurre l’espressione degli enzimi antiossidanti e di altri meccanismi di difesa.
In questo scenario i radicali potrebbero essere visti come benefici, dal momento che fungono da segnali per migliorare le difese, piuttosto che come deleteri come accade quando le cellule sono esposte ad alti livelli di radicali. Gli animali che vengono esposti frequentemente all’esercizio cronico hanno mostrato meno danni ossidativi a seguito di esercizio esaustivo rispetto ai compagni non allenati (Salminen e Vihko, 1983). Questo è in larga parte dovuto alla sopra-regolazione degli enzimi antiossidanti endogeni come la perossidasi del glutatione, la mutazione dei superossidi mitocondriali (MnSOD) e la sintetesi della γ-glutamilcisteina (Salminen e Vihko, 1983).
Una conclusione notevole che può essere tratta da questi risultati è che l’esercizio stesso agisce da antiossidante, perché l’allenamento aumenta l’espressione degli enzimi antiossidanti (Gomez-Cabrera et al., 2008b). Di conseguenza, noi ed altri abbiamo dimostrato che i supplementi antiossidanti prevengono l’induzione della biogenesi mitocondriale, dei regolatori molecolari della sensibilità all’insulina e della difesa antiossidante endogena data dall’esercizio fisico (Gomez-Cabrera et al., 2008a; Ristow et al., 2009).
Per questo motivo, i ROS agiscono da segnali durante l’esercizio perché diminuire la loro formazione previene l’attivazione di vie di trasduzione del segnale importanti, causando un utile adattamento a livello cellulare.
A causa delle ampie implicazioni dei ROS in quasi tutte le funzioni biologiche più importanti, è difficile definire tutte le vie di trasduzione e i bersagli genetici che vengono toccati dall’ossidoriduzione durante l’esercizio.
Numerosi adattamenti importanti per la muscolatura scheletrica (come la biogenesi mitocondriale, la risposta antiossidante, l’ipertrofia, la citoprotezione e la trasformazione delle fibre) sono regolati principalmente da queste vie di trasduzione. Per questo motivo, tali regolazioni dovrebbero essere strettamente controllate (Gomez-Cabrera et al., 2009).
Gli adattamenti indotti dall’esercizio sono particolarmente evidenti nei sistemi cardio-respiratorio e muscolo-scheletrico, così come nella composizione corporea e nel metabolismo (Warburton et al., 2006a; Lee et al., 2010). Ad ogni modo, i benefici documentati in termini di salute includono anche una diminuzione dei sintomi di depressione e ansia (Kujala, 2011).
La muscolatura scheletrica è il bersaglio principale dell’allenamento, perché le sue modifiche sono cruciali nel potenziamento della resistenza e dell’efficienza metabolica (Matsakas and Narkar, 2010). Le fibre muscolari sono comunemente classificate come fibre a contrazione lenta di Tipo I, fibre ossidative con un alto contenuto mitocondriale, oppure come fibre a contrazione rapida, di tipo II, o fibre glicolitiche, che hanno meno mitocondri. Gli esercizi di resistenza causano un aumento della produzione di mitocondri, un passaggio nella distribuzione delle fibre da glicolitica a ossidativa e un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi che nel tempo conduce ad un aumento della capacità aerobica e ritarda l’insorgenza di patologie come obesità, diabete di Tipo 2 e malattie cardiovascolari (Holloszy e Coyle, 1984; Mootha et al., 2003).
È stato dimostrato che un esercizio regolare può ridurre l’adiposità addominale e migliorare il controllo del peso (Warburton et al., 2006a), potenziare i profili lipoproteici (ad esempio riducendo i livelli dei trigliceridi, aumentando i livelli delle lipoproteine ad alta densità e diminuendo quelli delle proteine a bassa densità), migliorare l’omeostasi del glucosio e la sensibilità all’insulina, ridurre la pressione del sangue, aumentare il tono autonomo, ridurre l’infiammazione sistemica, ridurre la coagulazione del sangue, migliorare il flusso coronarico, aumentare la funzione cardiaca e rafforzare la funzione endoteliale (Warburton et al., 2006).
Un’attività fisica regolare è associata anche al miglioramento del benessere psicologico (ad esempio attraverso la riduzione dello stress, dell’ansia e della depressione) (Dunn et al., 2001).
Gli effetti benefici dell’esercizio sulle funzioni cognitive sono ben noti (Neeper et al., 1995). Il meccanismo che c’è dietro non è stato ancora pienamente compreso, ma sembra essere associato all’aumento dell’espressione dei fattori neurotropici in alcune aree del cervello. Un aumento dell’espressione di questi fattori è legato ad una memoria migliore e al progresso delle funzioni cognitive. I fattori neurotrofici derivati dal cervello (Brain-derived neurotrophic factor – BDNF) possono accrescere la sopravvivenza e la differenziazione dei neuroni, ed è stato dimostrato che l’esercizio volontario è responsabile di un loro incremento (Neeper et al., 1996).
Il benessere psicologico è particolarmente importante per la prevenzione e il controllo delle malattie cardiovascolari, ma ha anche implicazioni rilevanti nella prevenzione e nel controllo di altre patologie croniche come diabete, osteoporosi, ipertensione, obesità, cancro e depressione (Warburton et al., 2006).
È stato dimostrato che l’attività fisica si risolve in specifici adattamenti che interessano gli stati individuali di ognuna delle malattie citate. Per esempio, gli adattamenti che toccano l’omeostasi del glucosio nel diabete di Tipo 2 sono di estrema importanza. Una regolare attività fisica produce numerosi cambiamenti, incluso l’aumento delle attività di glicogeno sintetasi ed esochinasi, l’accrescimento dell’mRNA e dell’espressione proteica del trasportatore di membrana del glucosio GLUT-4 e il potenziamento della densità dei capillari muscolari (che porta al miglioramento della trasmissione del glucosio al muscolo) (Mandroukas et al., 1984).
L’esercizio causa una riduzione significativa del tasso di cancro (specialmente quello del colon e al seno) (Shephard e Futcher, 1997; Pedersen e Saltin, 2006). Le possibili spiegazioni del perché includono le riduzioni degli accumuli adiposi, l’aumento di spesa energetica che bilancia una dieta ad alto contenuto di grassi e cambiamenti causati dall’attività legati ai livelli di ormoni sessuali, alla risposta immunitaria, ai fattori di crescita insulinici o insulino-simili, alla generazione dei radicali liberi e agli effetti diretti sulla biologia cellulare dei tumori (Westerlind, 2003).
La maggioranza dei meccanismi citati è stata discussa nel contesto degli adattamenti cronici dati da un’attività fisica regolare. Ad ogni modo, è stato dimostrato che sessioni di esercizio isolate (ovvero dosi di esercizio separate) danno luogo a cambiamenti transitori, ma pur sempre benefici, nei fattori di rischio delle malattie croniche (Thompson et al., 2001).
Molti degli adattamenti dovuti all’allenamento derivano da una singola sessione di esercizio che stimola i cambiamenti cellulari a livello genetico generando gli effetti cumulativi dell’allenamento.
L’effetto acuto dell’esercizio corrisponde a riduzioni transitorie dei livelli di trigliceridi, aumento del livello di colesterolo HDL, diminuizione della pressione sanguigna e dell’insulino-resistenza e miglioramento del controllo del glucosio (Thompson et al., 2001).
Questi cambiamenti acuti sostengono il ruolo importantissimo che le singole sessioni di esercizio hanno sullo stato di salute. Di conseguenza, ogni singola dose di esercizio ha un impatto rilevante sulla salute. La figura qui sotto riassume efficacemente gli effetti benefici dell’esercizio.
Per chi fosse interessato ad approfondire qui trovate il primo articolo di questa lunga serie.
Nonostante i benefici in termini di salute dell’attività fisica da tempo libero siano ben documentati, l’associazione tra allenamento vigoroso e mortalità o longevità degli atleti d’elite non è stato ancora totalmente compreso (Teramoto e Bungum, 2010).
Per secoli, la credenza generale è stata quella per cui l’esercizio esaustivo o competitivo sia dannoso e diminuisca l’aspettativa di vita (Ruiz et al., 2010). Ad esempio, Moorstein (1968) affermava che tutti i membri della squadra di canottaggio di Harvard del 1948 erano morti prematuramente a causa di patologie cardiache. In contrasto, è stato dimostrato che la partecipazione competitiva in sport di resistenza aumenta l’aspettativa di vita. È stato scoperto che l’aspettativa di vita dei vogatori era più alta di quella dei non atleti (Hartley e Llewellyn, 1939; Prout, 1972). Karvonen e i suoi collaboratori hanno scoperto che i campioni finlandesi di sci nati tra il 1845 e il 1910 hanno vissuto 2.8-4.3 anni di più rispetto alla popolazione maschile generale in Finlandia. In contrasto con la maggior parte degli studi del tempo, Polednak (1972) ha riscontrato dati contro gli effetti benefici dell’esercizio più strenuo: scoprì infatti differenze in termini di longevità e mortalità cardiovascolare in relazione alla portata della partecipazione all’attività sportiva universitaria. In aggiunta, in un recente studio sugli animali, è stato scoperto che un vigoroso esercizio di resistenza può, a lungo termine, promuovere in alcuni casi un rimodellamento cardiaco avverso e produrre un substrato per le aritmie (Benito et al., 2011).
L’incidenza di tali morti cardiache improvvise tra i giovani atleti (la stima è di 1-3 su 100.000 persone l’anno) è più alta rispetto ai non atleti e potrebbe essere ancora sottostimata (Drezner, 2008). Ad ogni modo, è stato dimostrato che la causa più comune di morte cardiaca improvvisa nei giovani atleti è in relazione a patologie cardiache ereditarie, come cardiomiopatie, anomalie coronariche congenite e disfunzionalità del canale ionico (Maron et al., 2009).
Per chiarire questa apparente contraddizione, abbiamo determinato la longevità dei partecipanti al Tour de France e l’abbiamo confrontata con quella della popolazione generale nata tra il 1892 e il 1942. Il Tour de France è tra gli eventi sportivi più estenuanti al mondo. Abbiamo scoperto un aumento dell’11% nella longevità media dei partecipanti al Tour de France rispetto alla popolazione generale (Sanchis-Gomar et al., 2011).
Così, la maggioranza dei dati negli studi umani supporta la nozione per cui la prescrizione di regolare e vigoroso esercizio aerobico potrebbe essere uno strumento utile, con una risposta dose-effetto capace di aumentare lo stato globale di salute e la longevità della popolazione generale (Ruiz et al., 2010; Teramoto e Bungum, 2010).
Secondo la nostra opinione fisiatri, professionisti della salute e popolazione generale non dovrebbero avere l’impressione che uno strenuo esercizio o gli sport aerobici e competitivi di alto livello siano negativi per la salute o possano abbreviare la vita.
Pertanto sembra che esista una relazione dose-risposta tale per cui le persone che hanno i più alti livelli di attività e forma fisica presentano i più bassi rischi di morte prematura (Warburton et al., 2006).
Percentuale di sopravvivenza relativa all’età nei partecipanti al Tour de France (TdF) e nella popolazione generale. Sono state studiate persone nate tra il 1892 e il 1942. La vita dei partecipanti al Tour de France è più lunga (P= 0.004; 17.5%) di quella della popolazione generale.
Lo stato di allenamento è un fattore molto rilevante nella prescrizione della dose di esercizio. Aumentare la dose di esercizio ha conseguenze positive per la salute degli individui allenati (Ruiz et al., 2010; Sanchis-Gomar et al., 2011), mentre lo sforzo fisico pesante può scatenare l’insorgenza di infarto acuto del miocardio, sopratutto in persone che sono abitualmente sedentarie (Mittleman et al., 1993).
Risultati provenienti dallo stesso gruppo hanno mostrato che gli uomini meno attivi che partecipavano ad attività vigorose erano più a rischio di infarto durante l’esercizio rispetto agli uomini più attivi (Thompson et al., 2007). Nel trattamento farmacologico di diverse condizioni, i fisiatri solitamente iniziano prescrivendo una dose di medicinale che è convenzionalmente ritenuta il minimo dosaggio efficace. Se il paziente non risponde, la quantità di medicinale può essere aumentata fino al dosaggio massimo, oltre in quale gli effetti collaterali del farmaco sarebbero inaccettabili per il trattamento (Lee, 2007). Perciò, l’intensità del lavoro aerobico potrebbe essere aumentata negli individui in salute.Le persone fuori forma possono trovare miglioramenti significativi nello stato di salute fisica anche con un allenamento a bassa intensità, mentre chi ha un livello di fitness più alto ha bisogno di una maggiore intensità di esercizio per raggiungere ulteriori miglioramenti (Shephard, 2001).
Per questo motivo, gli individui in buona forma fisica che hanno raggiunto i livelli di attività raccomandati per gli adulti in salute da almeno 6 mesi potrebbero ottenere ulteriori benefici in salute impegnandosi in 300 o più minuti di attività aerobica a intensità moderata a settimana, o in alternativa dedicandosi a 150 minuti o più di attività aerobica ad intensità elevata, o ancora scegliendo combinazioni equivalenti di attività aerobiche a intensità alta o moderata (Lee e Skerrett, 2001; O’Donovan et al., 2010).
Questi dosaggi, relativamente bassi, ovviamente non sono applicabili agli atleti professionisti di alto livello, i quali svolgono dosi molto più alte di esercizio.
Le linee guida discusse sopra sono generalmente appropriate per giovani adulti e per persone di mezza età. Ma, come per le medicine, si dovrebbero fare considerazioni speciali al momento di prescrivere esercizi per persone con esigenze particolari come gli anziani, i bambini, le donne in stato di gravidanza, pazienti obesi o sovrappeso e pazienti con malattie croniche (Warburton, 2006b).
Per esempio, è stato dimostrato che per la riduzione dei rischi cardiovascolari negli uomini sopra i 60 anni non sono necessarie attività vigorose: un’attività fisica regolare è sufficiente a raggiungere una diminuzione significativa della mortalità in questa fascia di popolazione. Perciò, il miglior beneficio in termini di salute viene guadagnato sostenendo un esercizio moderato, sopra il quale sembra non esserci alcun beneficio aggiuntivo per la salute degli uomini più avanti negli anni (Hakim et al., 1998; Wannamethee et al., 1998).
Riguardo il “dosaggio” dell’esercizio e all’opportunità di eseguire le attività in un’unica soluzione continuata o in due o più situazioni distinte e cumulabili, i dati disponibili suggeriscono che, almeno per il fitness, sia gli schemi di esercizio continuato che quelli di accumulazione apportano benefici simili a patto che la durata totale dell’esercizio sia la stessa (Murphy, 2009).
Per esempio è stato dimostrato che tra 5 e 7 sessioni di esercizio (salire le scale) da 2 minuti l’una, accumulate nell’arco di una giornata, apportano benefici in termini di salute, compreso un aumento del benessere cardiovascolare, rispetto allo stato di chi non ha eseguito l’attività.
Anche se l’attività fisica è benefica per la salute con o senza perdita di peso, gli adulti che trovano difficile mantenere un peso nella norma o quelli che hanno un maggior rischio di malattie cardiovascolari o di diabete di tipo 2, in particolare, possono trarre benefici dall’andare oltre i livelli normalmente raccomandati agli adulti in salute per procedere gradualmente fino a eseguire le raccomandazioni per le persone con patologie.