Ipertrofia: il punto di vista di Schoenfeld

L’ipertrofia, ovvero la crescita muscolare, è sempre l’obiettivo principe del “palestrato”, ma anche dell’uomo comune che va in palestra per prepararsi all’estate o della donna che cerca di “tonificare” i propri glutei; in ciascuno di questi casi stiamo sempre parlando di ipertrofia.

Ma quale è il volume ottimale per allenarsi? Quante serie bisogna fare per far crescere un determinato gruppo muscolare?

In un recente articolo apparso su Strenght and Conditioning Journal (2017) Schoenfeld analizza quello che secondo lui è il volume di allenamento ideale per un obiettivo di crescita muscolare ottimale. Schoenfeld è uno dei massimi esperti mondiali di ipertrofia e, anche se sappiamo, che l’opinione degli esperti nella piramide delle evidenze scientifiche è solo alla base, quindi gode di scarsa rilevanza, è pur sempre una utile indicazione dalla quale partire o almeno prendere spunto.

Schoenfeld nel suo articolo parte dalla constatazione che il miglior allenamento per raggiungere l’ipertrofia sia l’allenamento contro resistenza (Resistance Training) e la differente combinazione delle sue molteplici variabili: serie, ripetizioni, carico, TUT, …

La manipolazione delle variabili del Resistance Training (RT) è ampiamente considerata una strategia essenziale per massimizzare gli adattamenti muscolari indotti dall’esercizio fisico. Una variabile RT che ha ricevuto molta attenzione a questo riguardo, in particolare per quanto riguarda il miglioramento dell’ipertrofia muscolare, è il volume di allenamento. Il volume RT è comunemente definito come la quantità totale di lavoro svolto e può essere espresso in diversi modi. Il numero di serie eseguite per un determinato esercizio è forse il modo più comune in cui questa variabile è riportata nella letteratura sull’ipertrofia. Un altro metodo popolare per quantificare il volume RT è il numero totale di ripetizioni eseguite per esercizio (cioè serie moltiplicate per ripetizioni). Infine, il carico volumetrico, o tonnellaggio, è stato proposto da alcuni come la metrica più appropriata, per cui il numero totale di ripetizioni è moltiplicato per la quantità di peso utilizzata in un esercizio durante le varie serie allenanti. Tutti questi metodi di misurazione del volume possono essere considerati modi validi per misurare il volume nel RT dal momento che attualmente non esiste alcun consenso in merito a una metodologia di misurazione definitiva. Supponendo che tutte le altre variabili siano mantenute costanti, l’aumento del volume aumenterà necessariamente il tempo di sotto tensione (TUT – Time Under Tension), che è stato proposto come un importante fattore di anabolismo.

Metodo di calcolo Pro Contro
Numero di serie E’ il metodo più semplice per calcolare il volume di lavoro Piuttosto impreciso in quanto non considera né il numero di ripetizioni né il carico adottato
Serie x Ripetizioni Paragonato al “Numero delle serie”, questo metodo aggiunge molte più informazioni riguardo il carico di lavoro Non tenendo in considerazione il carico, anche se il numero di ripetizioni è lo stesso, la differenza di carico può portare a grandi differenze nel volume totale di lavoro
Serie x Ripetizioni x Carico (Volume Load – VL) Questo è il metodo più accurato di calcolo del volume di lavoro in quanto comprende tutte le variabili Può portare a risultati contrastanti in quanto con carichi leggeri in realtà il volume necessario per l’ipertrofia potrebbe essere maggiore rispetto all’uso di carichi pesanti

Nel panorama mondiale della ricerca relativa all’ipertrofia si incontrano svariate proposte di linee guida e i risultati sono piuttosto controversi in quanto sembra che si possano raggiungere grosso modo gli stessi risultati ricorrendo sia a singole serie allenanti per gruppo muscolare che a serie multiple (Krieger, 2010). Nell’articolo proposto  Schoenfeld, attraverso una meta-analisi, si è proposto di analizzare l’effetto che il volume, calcolato come numero di serie, può avere sulla crescita muscolare, senza tuttavia stabilire una soglia oltre la quale un aumento del volume possa diventare controproducente ai fini dell’ipertrofia. Infatti va notato che i dati erano insufficienti per determinare se più di 10 set settimanali per muscolo offrivano ulteriori benefici ipertrofici e, in tal caso, a quale punto esiste una soglia. Sebbene manchi di evidenze empiriche, è possibile che la relazione dose-risposta tra volume RT e ipertrofia muscolare segua una curva a forma di U invertita, per cui un volume RT eccessivo porterebbe a adattamenti negativi.

E’ stato scelto il numero di serie come metodo di calcolo del volume di lavoro perchè  il Volume Load (VL) risulta essere piuttosto impreciso in quanto l’evidenza sembra suggerire che serva un VL più elevato se si utilizzano carichi leggeri per massimizzare la risposta ipertrofica, al contrario con carichi elevati si possono raggiungere risultati significativi anche con VL minore.

Concludendo, sulla base della letteratura attuale, 10 o più set per muscolo a settimana sembrano essere un buon punto di partenza per programmare il volume ai fini ipertrofici. Il volume dovrebbe quindi essere manipolato in base alla risposta individuale. Detto questo, guadagni sostanziali possono comunque essere raggiunti con volumi pari a 4 o meno set (serie) per muscolo a settimana.

Dato che un allenamento costante con volumi elevati è stato ipotizzato che possa condurre al sovrallenamento, si può ritenere corretto che la periodizzazione del volume possa migliorare l’ipertrofia. Una combinazione di entrambi gli approcci ad alto e basso volume di lavoro potrebbe essere una strategia ottimale a lungo termine che consentirebbe una progressione costante. Quando ci si trova in un periodo in cui il volume è particolarmente elevato (es. 20 serie per muscolo), si potrebbe considerare di distribuire il volume totale in due sessioni di allenamento giornaliere separate. Poiché periodi di volume elevato nel RT non sono facilmente sostenibili per periodi lunghi, potrebbe anche essere incorporata una fase di scarico con volumi inferiori. È stato dimostrato che durante questi periodi una diminuzione del volume di allenamento del ~ 65% è sufficiente per il mantenimento e, in alcuni casi, anche per favorire aumenti della massa muscolare.

In chiusura di articolo Schoenfeld ci lascia con una proposta di periodizzazione del volume di allenamento per un macrociclo della durata di un anno.

 

Allenamento eccentrico vs allenamento concentrico per l’ipertrofia

Si sente parlare parecchio delle differenze a favore dell’ipertrofia tra l’allenamento eseguito principalmente attraverso ripetizioni eccentriche e le ripetizioni concentriche. Quale delle due diverse modalità esecutive apporta i maggiori benefici dal punto di vista dell’ipertrofia muscolare?

Una  metaanalisi condotta da Schoenfeld cerca di far luce su questi aspetti da sempre controversi. Per condurre questa analisi sono stati selezionati dal team di ricerca 15 studi in grado di soddisfare i seguenti criteri:

1) studi sperimentali in lingua inglese apparsi in pubblicazioni scientifiche;

2) studi che abbiano confrontato direttamente azioni concentriche ed eccentriche senza l’uso di attrezzature esterne (es. ausili per l’occlusion training, camera ipossica, ecc.);

3) i cambiamenti morfologici dovevano essere misurati tramite biopsia, tecniche di immagine, impedenza bioelettrica e/o densitometria;

4) durata minima dello studio di 6 settimane;

5) i partecipanti non avevano lesioni muscolo-scheletriche o qualsiasi condizione di salute che potrebbe direttamente, o attraverso l’utilizzo di farmaci, influenzare la risposta ipertrofica all’esercizio di resistenza (RT – Resistance Training).

Senza addentrarci troppo nei dettagli della ricerca, passo ad esporre le conclusioni a cui è giunto il team di Schoenfeld, in quanto l’analisi ha rilevato che, in media, l’allenamento eccentrico ha prodotto aumenti maggiori nell’ipertrofia rispetto all’allenamento concentrico (10,0% contro 6,8%, rispettivamente). Tuttavia, la differenza nei guadagni relativi all’ipertrofia (Effect Size – ES = 0,25, tale indice è stato calcolato come la variazione pre-test e post-test, divisa per la deviazione standard pre-test) indica che il vantaggio ipertrofico dell’addestramento eccentrico era relativamente piccolo.

Una delle ipotesi legate a questo lieve incremento ipertrofico riscontrato è probabilmente alle differenze di carico tra le azioni muscolari eccentriche vs concentriche, in quanto nelle azioni eccentriche sono stati utilizzati carichi più elevati cumulando quindi un maggiore lavoro totale. Questa ipotesi tuttavia è da confermare attraverso ulteriori ricerche mirate.

Indipendentemente dai meccanismi, questi dati, in combinazione con la ricerca che mostra diverse risposte di segnalazione intracellulare tra allenamento concentrico ed eccentrico, suggeriscono che la crescita muscolare si ottiene meglio eseguendo una combinazione delle due azioni.

Ipertrofia: quanto si dovrebbe riposare tra le serie?

Vorrei affrontare proprio l’argomento della domanda posta nel titolo dell’articolo in merito all’allenamento finalizzato all’ipertrofia, per fare ciò prendo spunto da un articolo di Schoenfeld. Sappiamo che ai fini della crescita muscolare gli stimoli fondamentali da somministrare al nostro corpo sono stress meccanici e stress metabolici, per cui quale sarebbe un giusto intervallo di recupera tra le serie durante l’allenamento per poter ottimizzare questi due parametri?

In generale, l’intervallo ottimale, almeno dal punto di vista della prassi ed esperenziale, sembrerebbe essere compreso tra i 60 e i 90 secondi tra un set e il successivo. A tal proposito Schoenfeld cita uno studio di Ahtiainen et al. (2005) in cui viene indagata la differenza tra differenti periodi di recupero inter-set, per la precisione tra 2 e 5 minuti. Questa ricerca ha molti punti di forza, in primis lo studio è stato condotto in crossover randomizzato, i soggetti esaminati erano persone esperte e ben allenate , inoltre, per misurare la crescita muscolare, si è fatto uso della modalità di imaging gold standard, la risonanza magnetica (MRI). L’unico problema di questo studio clinico è che i tempi di recupero minimi utilizzati (2 minuti) risultano essere superiori alle linee guida generali per l’allenamento contro resistenza, che come accennato in precedenza raccomandano periodi di recupero di circa 60/90 secondi. Periodi di recupero più brevi sappiamo che hanno un’influenza significativa sullo stress metabolico, per cui i tempi indicati nello studio potrebbero diminuire la risposta anabolizzante dello stimolo metabolico fornito.

Fatte queste precisazioni doverose, diamo un’occhiata ai risultati emersi. Lo studio in esame ha indicato che, nell’ambito dei tipici protocolli di allenamento per l’ipertrofia utilizzati nello studio, la durata dei tempi di recupero tra i set (2 o 5 minuti) non ha influenzato l’entità delle risposte ormonali e neuromuscolari acute o adattamenti dell’allenamento a lungo termine alla forza e alla massa muscolare nei soggetti maschi allenati inclusi nello studio.

L’importanza della connessione mente-muscolo per l’ipertrofia

Un aspetto a mio avviso molto importante e che sta emergendo in alcune ricerche degli ultimi anni è l’importanza che riveste al connessione mente-muscolo (mind-muscle connection) in ottica dello sviluppo ipertrofico del soggetto allenato. Prendo spunto qui, da una recente ricerca di Schoenfeld apparsa su European Journal of Sport Science, che ha indagato proprio la differenza tra focalizzare l’attenzione su fattori interni o su fattori esterni durante l’allenamento contro resistenza (resistance training) riguardo gli adattamenti muscolari. 

Trenta ragazzi del college non allenati (untrained) sono stati assegnati in modo casuale a un gruppo istruito a focalizzare l’attenzione su fattori interni (INTERNO), ovvero che si concentrava sul contrarre il muscolo bersaglio durante l’allenamento (n = 15), o un gruppo a cui è stato data l’indicazione di focalizzare l’attenzione su fattori esterni (ESTERNO), cioè che si è concentrato sul risultato dei sollevamenti (n = 15). La routine di allenamento per entrambi i gruppi consisteva in 3 sessioni settimanali eseguite a giorni alterni per 8 settimane. I soggetti hanno eseguito 4 serie di 8-12 ripetizioni ad esaurimento per ogni esercizio con 2 minuti di riposo tra i set.

Il focus dell’attenzione è un concetto piuttosto importante per l’apprendimento motorio ed ha un ruolo potenzialmente cruciale negli adattamenti fisico all’esercizio. Il focus può essere definito come “cosa pensa un individuo quando esegue una data attività” (Schoenfeld & Contreras, 2016). Possiamo avere un focus interno ed uno esterno. Il focus di attenzione interno significa concentrarsi sui movimenti del corpo durante l’esecuzione di un’attività; per esempio, pensare di “spremere” i propri muscoli. Viceversa, un focus di attenzione esterno implica la visualizzazione del risultato della performance; per esempio, focalizzare l’attenzione sullo spostare un carico.

La letteratura sembra indicare che un focus di attenzione esterno ottimizza l’esecuzione dei gesti motori orientati alla prestazione. Una recente review di Wulf (2013) ha concluso che un focus esterno ha mostrato miglioramenti nell’apprendimento motorio rispetto a un focus interno in oltre il 90% delle pubblicazioni sull’argomento. Pertanto se il focus esterno è senza dubbio vantaggioso in termini di performance, sembrerebbe che un focus interno durante l’esecuzione degli esercizi di resistance training sia migliore per lo sviluppo dell’ipertrofia. Infatti, gli studi elettromiografici riportano maggiore attivazione EMG della muscolatura bersaglio durante esercizio di resistenza con l’uso di focus interno.

Tornando alla ricerca di Schoenfeld, i membri del team di studiosi, dopo aver diviso i soggetti nei due gruppi, INTERNO e ESTERNO, si sono occupati di fornire indicazioni diverse a ciascun soggetto durante l’esecuzione degli esercizi. Ai membri del gruppo INTERNO veniva data l’informazione di “spremere il muscolo target!”, mentre ai soggetti del gruppo ESTERNO veniva detto di “sollevare il carico!”.

Dei 30 partecipanti iniziali, 27 hanno completato il protocollo previsto dallo studio. Questo è il primo studio per studiare gli effetti di diverse strategie di attenzione focalizzate sul muscolo a lungo termine adattamenti. Lo studio ha prodotto risultati notevoli. In primo luogo, è emerso come un focus interno consenta aumenti ipertrofici superiori nei flessori del gomito rispetto ad un focus esterno, mentre nel quadricipite non è stata rilevata nessuna differenza in seguito alle diverse strategia di focalizzazione adottate. Come spiegazione a questa discrepanza nel rilevamento dell’ipertrofia si può ipotizzare che i soggetti trovassero più facile concentrarsi sui muscoli flessori del gomito rispetto ai quadricipiti – una sensazione che è stata espressa in da diversi partecipanti al gruppo INTERNO. In effetti, questo può riguardare il motivo per cui gli individui hanno un migliore controllo e coordinamento con le loro estremità superiori rispetto ai loro arti inferiori. Gli esseri umani raramente svolgono compiti motori fini con i loro arti inferiori, affidandosi invece a loro per erogare potenza durante la locomozione. Ciò, comunque, non impedisce che si possa imparare come utilizzare efficacemente un focus di attenzione interno. Uno dei problemi più evidenti della ricerca è che anche se il team di ricerca ha fornito istruzioni esplicite sul focus di in ogni set, non vi è alcun modo per essere sicuri che i soggetti si concentrino effettivamente come richiesto.

Riassumendo i risultati:

  • Una focalizzazione interna migliora l’ipertrofia dei flessori del gomito (e probabilmente dei muscoli della parte superiore del tronco), presumibilmente aumentando l’attivazione della muscolatura.
  • Il focus dell’attenzione non ha influenzato l’ipertrofia dei quadricipiti; ciò potrebbe essere dovuto a una ridotta capacità degli individui non allenati di sviluppare una connessione mente-muscolo con la muscolatura della parte inferiore del corpo.

In futuro sarebbe auspicabile concentrare la ricerca anche sugli effetti relativi all’ipertrofia che la connessione mente-muscolo potrebbe avere nei soggetti ben allenati.

Differenze tra resistance training ad alta frequenza vs. bassa frequenza

Da qualche tempo si parla di quale approccio sia più produttivo per l’ipertrofia muscolare, se una routine ad alta frequenza (HFRT – High Frequency Resistance Training) o a bassa frequenza (LFRT – Low Frequency Resistance Training). Uno studio davvero interessante è quello che presento ora, condotto da Gomes (2018) e apparso su Journal of Strength and Conditioning Research.

I ricercatori hanno voluto indagare se ci fossero significative differenze in termini di aumento della massa muscolare e della forza in due gruppi sottoposti a differenti frequenze di Resistance Training. Per fare ciò sono stati selezionati 23 soggetti maschi con età compresa tra i 18 e i 32 anni, ben allenati e che presentavano livelli di forza nel back squat di circa il 165% di peso corporeo e distensione su panca di ~ 130% del peso corporeo e li hanno randomizzati in 2 gruppi (HFRT e LFRT), inoltre i soggetti selezionati avevano una esperienza di allenamento di almeno 3 anni.

Entrambi i gruppi si sono allenati dal lunedì al venerdì e hanno eseguito gli stessi 11 esercizi con la stessa intensità (70-80% di 1RM con un range di 8-12 ripetizioni) e la stessa quantità di set (10 per gruppo muscolare , 5 set solo per curl con bilanciere ed triceps extension con 90” di recupero tra i set) fino al cedimento muscolare per 8 settimane, ma il gruppo a bassa frequenza ha eseguito uno split in cui ogni muscolo doveva essere allenato una volta alla settimana, mentre il gruppo ad alta frequenza eseguiva tutti gli esercizi del programma in ogni sessione di allenamento.

Il protocollo di lavoro lo potete vedere nella seguente infografica tratta da Bayesan Bodybuilding:

resistance training

Ecco i risultati e alcuni dati importanti della ricerca, presento qui i più significativi:

  • I partecipanti non presentavano differenze significative all’inizio dello studio.
  • L’aderenza al protocollo di lavoro è stata praticamente perfetta in entrambi i gruppi.
  • Non vi sono state significative differenze nella dieta dei partecipanti.
  • Il gruppo LFRT mostrava più DOMS in seguito alle sedute di allenamento.
  • Il gruppo HFRT è stato in grado di svolgere un volume maggiore di allenamento nel corso delle settimane, in quanto il tonnellaggio per ogni singolo esercizio è stato superiore rispetto al gruppo LFRT.
  • Non vi sono state significative differenze in termini di guadagno di massa muscolare e di forza, entrambi i gruppi hanno evidenziato miglioramenti sia riguardo la massa magra (FFM) sia riguardo la forza muscolare.

In conclusione dallo studio emerge che non vi sono differenze significative, a parità di volume, tra HFRT e LFRT in soggetti ben allenati. Come era emerso in una meta-analisi di Schoenfeld (2017), un volume di 10 set a settimana per gruppo muscolare è sufficiente ai fini dell’ipertrofia indipendentemente dalla loro distribuzione settimanale. Dall’altro lato però, LFRT tende a produrre più dolori muscolari successivi alla seduta di allenamento (DOMS), potendo così incidere negativamente sulle performance. Inoltre LFRT indurrebbe un maggior affaticamento del distretto muscolare allenato, così da condurre ad una diminuzione del volume di lavoro durante la seduta di allenamento.  conclusione HFRT è un modo efficace per ridurre il dolore muscolare senza limitare la crescita muscolare o lo sviluppo della forza.

La differenza tra alti carichi e bassi carichi nell’allenamento della forza

E’ bene tenere a mente che qualsiasi allenamento, purchè gestito in maniera corretta, produrrà degli adattamenti fisici in grado di migliorare quei parametri che sono stati sottoposti all’allenamento, ad esempio la forza è uno di questi parametri, così come la velocità, la resistenza e altro. Per questi motivi ogni allenamento risulta essere specifico per una determinata qualità fisica.

La ricerca di Schoenfeld et al. (2015) qui presentata mostra come allenarsi con alti carichi produca un maggiore incremento della forza massima rispetto a delle sessioni di allenamento con bassi carichi, i quali a loro volta produrranno invece un maggior incremento nella resistenza muscolare. Lo scopo della ricerca è proprio quello di misurare le  variazione nelle dimensioni muscolari, nella forza e nella endurance muscolare in soggetti maschi allenati. Il protocollo di ricerca prevedeva 3 allenamenti a settimana per 8 settimane utilizzando 3 serie di 7 esercizi ognuno dei quali portati a cedimento muscolare. I soggetti esaminati sono stati suddivisi in due gruppi, uno dei quali si allenava con pesi intorno al 25-30% del 1rm mentre l’altro gruppo utilizzava carichi di circa il 70-80% del 1rm.

A conclusione del lavoro, come sotto riportato, sono state analizzate le variazioni del 1rm di bench press e squat, nello spessore del muscolo quadricipite e dei muscoli flessori del gomito e la resistenza muscolare con il 50% del 1rm alla bench press.

Come ormai possiamo intuire i risultati sono stati in linea con le previsioni, ovvero il gruppo che si è allenato utilizzando alti carichi di lavoro ha ottenuto un maggiroe aumento della forza massima negli esercizi di bench press e di squat, mentre solamente chi si è allenato con bassi carichi (30-50% del 1rm) ha ottenuto un aumento dell’endurance muscolare alla bench press. Da notare inoltre come per entrambi i gruppi i guadagni nelle dimensioni del muscolo quadricipite e dei muscoli flessori del gomito siano stati simili e non presentino differenze di rilievo.

Queste variazioni sono probabilmente dovute ai seguenti fattori:

  • Maggiori guadagni in forza massima con carichi pesanti probabilmente si verificano a causa di aumenti più rilevanti nella coordinazione inter-muscolare negli esercizi multi-articolari, maggiori aumenti nella trasmissione della forza laterale, maggiori aumenti nell’azionamento neuronale e maggiori aumenti nella stiffness teninea.
  • Maggiori guadagni nell’endurance muscolare possono verificarsi con carichi più leggeri a causa di maggiori miglioramenti nella capillarizzazione, cambiamenti nella capacità di buffering e nell’ottimizzazione del tasso di trasporto di ioni (Na+, K+, Ca²+).

Immagine di Strenght and Conditioning Research

Quanto è importante la crescita muscolare per l’incremento della forza? (conclusioni)

Come anticipato siamo giunti alla conclusione di questo mastodontico articolo sulle correlazioni tra forza ed ipertrofia, se avete coraggio da vendere potete leggere tutto l’articolo a puntate (qui trovate i vari episodi parte 1 – parte 2 – parte 3 – parte 4 – parte 5 – parte 6parte 7). Per concludere facciamo un quadro generale delle evidenze emerse.

Sicuramente la massa muscolare influenza la forza, ma con altrettanta certezza non costituisce la determinante della forza tra più individui, e quindi l’ipertrofia non è l’unico fattore che influenza i guadagni di forza. C’è una massiccia variazione tra persone diverse per quanto concerne i fattori che influenzano direttamente la forza, come ad esempio NMF e lunghezze del braccio del momento muscolare. In più, con l’allenamento qualcuno guadagna in forza molto più velocemente di altri, indipendentemente dall’ipertrofia, grazie ai cambiamenti variabili in NMF e nell’abilità di apprendere e perfezionare gli esercizi.

Nel corso di una carriera di allenamento guadagniamo più forza che massa muscolare perché c’è una moltitudine di fattori che possono contribuire all’accrescimento della forza più che a quello della massa, di conseguenza è logico che i guadagni in forza superino quelli muscolari.

Il contributo diretto dell’ipertrofia alla forza con tutta probabilità aumenta con l’esperienza di allenamento, man mano che gli adattamenti che avvengono più rapidamente (come l’acquisizione di abilità e i cambiamenti di NMF) giocano un ruolo sempre minore nei guadagni di forza. Dal momento che la forza è altamente specifica, probabilmente guadagneremo più forza allenandoci pesantemente piuttosto che con leggerezza, anche se presumibilmente metteremo su massa più o meno allo stesso ritmo a prescindere dal carico (dando per scontato che il volume corrisponda).

Di qui, mettere su massa probabilmente ci renderà più forti, ma sicuramente aumenterà la nostra forza potenziale. Una versione di noi con più muscoli avrà il potenziale di sollevare di più rispetto a una nostra versione con meno massa, anche se potremmo essere capaci di sollevare di più rispetto a qualcuno con molti più muscoli o, al contrario, potremmo essere battuti da qualcuno molto meno muscoloso.

Se il nostro obiettivo è massimizzare i guadagni di forza a lungo termine, allora dovremmo puntare a costuire più massa possibile durante il nostro percorso.

Quanto è importante la crescita muscolare per l’incremento della forza? (parte 7)

Ecco l’ultima parte dell’articolo di Greg Nuckols, seguiranno solamente le conclusioni nel rpossimo articolo (se volete leggere le altre parti, le troverete qua:  parte 1 – parte 2 – parte 3 – parte 4 – parte 5 – parte 6).

Al momento i dati più validi che abbiamo a disposizione per esaminare la relazione tra forza e massa muscolare vengono da uno studio sui powerlifters e uno sui weightlifters d’elite.
Nel caso dei vari Mario&Maria di tutti i giorni, emerge tutta la variabilità che abbiamo discusso fino a questo momento: variabilità nella Forza Muscolare Normalizzata (NMF), nei bracci del momento muscolare, nella propensione a padroneggiare le abilità motorie etc. Gli atleti d’elite non sono affatto identici, ma è plausibile pensare che siano stati in buone mani per quanto riguarda la maggioranza di quei fattori contraddittori.
C’è ancora variabilità nei fattori che possono influenzare la forza indipendentemente dalla massa muscolare, ma di sicuro in misura inferiore. Questa relativa omogeneità (ognuno ha un buon sorteggio generico per quanto riguarda tutti i fattori che contribuiscono alla forza, o almeno relativamente alla maggior parte di questi) ci offre la prospettiva migliore che possiamo avere sulla relazione tra massa muscolare e forza, tenendo conto di tutti gli altri fattori nel miglior modo possibile nello scenario del “mondo reale”.
Brechue e Abe hanno scoperto che nel caso dei powerlifters la correlazione tra la forza in uno dei sollevamenti e quella nello spessore dei muscoli motori primari impiegati nel sollevamento (esempio: forza di squat e spessore del quadricipite oppure bench press e spessore del tricipite) era perlopiù r=0.8-0.95. In più, la correlazione tra la forza nei tre sollevamenti e FFM (Free Fat Mass – massa magra) o FFM/cm era di r=0.86-0.95 – in questo modo lo spessore muscolare dei motori primari spiega circa il 65-90% della variazione in forza, mentre FFM o FFM/cm rende conto del 75-95% circa. La relazione tra la forza di squat e FFM/cm può essere osservata sotto:

Uno studio simile condotto da Siahkouhian e Hedayatneja su giovani weightlifters d’elite ha rilevato che la correlazione tra massa magra e forza di squat, front squat, snatch e clean&jerk oscillava tra r=0.836 e r=0.897, stando a significare che la variazione della massa magra può spiegare circa il 70-80% della variazione in quei sollevamenti.

In entrambi gli studi possiamo vedere che in quella che è la popolazione più omogenea che potessimo desiderare (ovvero con gli altri fattori che influenzano la forza il più possibile sotto controllo) la massa magra è decisamente legata alla forza.

Un articolo del 1956 di Lietzke aveva scoperto che tracciando i record mondiali di powerlifting in un grafico bilogaritmico (peso corporeo vs. peso sollevato), un trend lineare calzava quasi a pennello ai dati disponibili, con una pendenza dell’andamento risultante di .6748 (quasi identica alla pendenza di .667 che ci aspetteremmo nel campo teorico). Personalmente ho controllato gli attuali record mondiali di powerlifting e l’andamento risultante ha una pendenza di .677, con appena il 96% della variazione del peso sollevato spiegabile con la dimensione.

La correlazione tra i guadagni in massa muscolare e quelli in forza all’interno dello stesso individuo è probabilmente più forte della correlazione tra gli stessi fattori tra individui diversi (che è la relazione che è stata studiata fino a questo momento).

Per esempio, immaginiamo di avere braccio del momento muscolare e NMF favorevoli e di essere arrivati al punto in cui i cambiamenti in NMF e gli aumenti in abilità non giocano più un ruolo determinante nel guadagno di forza. Un nostro amico, dal canto suo, ha braccio del momento muscolare e NMF sfavorevoli, e il suo stato di training è praticamente uguale al nostro. Se guadagnamo tutti lo stesso ammontare di muscolatura durante lo stesso programma di allenamento, noi guadagneremo comunque più forza di lui grazie a questi fattori. Se aggiungiamo una trentina di altri amici con altri mix di bracci del momento muscolare e NMF, finiremo con una correlazione tra i guadagni in massa muscolare e i guadagni in forza ma la variazione nei bracci del momento muscolare e nell’NMF farà in modo che la correlazione non diventi mai troppo forte.

Ad ogni modo, se i nostri muscoli crescono del 5% e noi diventiamo più forti del 10% nel processo, allora se la massa muscolare cresce di un altro 5% all’interno dello stesso programma di allenamento con tutta probabilità la nostra forza aumenterà nuovamente di un altro 10% circa. Nella nostra individualità siamo molto meno “rumorosi” di un’intera popolazione, di qui possiamo immaginare che la nostra relazione personale tra guadagni muscolari e guadagni in forza possa essere più forte di quella osservabile in un gruppo più grande.

Quanto è importante la crescita muscolare per l’incremento della forza? (parte 6)

Stiamo giungendo alla conclusione di questo imponente articolo a puntate sulla forza muscolare (gli altri episodi potete leggerli qui: parte 1 – parte 2 – parte 3 – parte 4 – parte 5). Trattiamo a questo punto la relazione che intercorre tra ipertrofia e guadagni in termini di forza.

La relazione tra guadagno in forza e guadagno in dimensioni

A questo punto dovrebbe essere chiaro che c’è una moltitudine di fattori che influenzano la forza al di là della semplice dimensione del muscolo. La sezione trasversale del muscolo generalmente spiega circa metà della variabilità, ma tanti altri fattori possono giocare un ruolo, dalla tensione specifica delle fibre muscolari ai bracci dei momenti muscolari, all’architettura, alla Forza Muscolare Normalizzata (NMF) fino all’apprendimento delle abilità.

Dal momento che l’NMF aumenta con l’allenamento, i bracci del momento muscolare tendono ad allungarsi con l’esercizio, e l’acquisizione delle abilità può giocare un ruolo determinante nello sviluppo della forza (specialmente nel caso di movimenti più complessi, nonostante l’apprendimento delle abilità possa impattare anche su cose semplici come un’estensione unilaterale del ginocchio), il fatto che in una carriera di allenamento si guadagni più forza che massa muscolare ha molto più senso.

In più, c’è una grande variabilità nella capacità di alcuni di questi fattori di rispondere al training, specialmente l’NMF e l’acquisizione delle abilità. In aggiunta, i bracci del momento muscolare variano da persona a persona e possono influenzare l’output di forza indipendentemente dalla forza contrattile muscolare. Così, dovrebbe essere chiaro perché alcune persone con meno muscoli sono capaci di sollevare più di quanto facciano individui con più massa.

Ora spostiamo l’attenzione su un’altra questione: dal momento che la massa muscolare non è l’unico fattore a influenzare la forza, quanto può un guadagno in massa influenzare il guadagno in termini di forza?

Sorprendentemente, non ci sono molti studi che esaminano questa relazione.

Il primo, uno studio recente di Ahtiainen, ha rilevato che non c’è alcuna correlazione essenziale tra il guadagno di massa nei quadricipiti e il guadagno di forza nella leg press dopo 5-6 mesi di allenamento somministrati a una popolazione eterogenea (maschi e femmine di età compresa tra i 19 e i 78 anni). Il coefficiente di correlazione era soltanto r=0.157, ovvero solo il 2,5% della variazione della forza poteva essere spiegato dal guadagno in massa muscolare.

Un altro studio di 9 settimane portato avanti da Erskine ha usato un gruppo omogeneo di persone non allenate (maschi tra i 18 e i 39 anni) e ha scoperto che la relazione tra il guadagno muscolare e quello in termini di forza dipende dal modo in cui forza e massa muscolare vengono misurate.

L’area della sezione trasversale fisiologica (la linea verde) è l’area della sezione trasversale del muscolo perpendicolare alle fibre muscolari stesse e l’area della sezione trasversale anatomica – ACSA  (linea blu) – è l’area della sezione trasversale dell’intero muscolo nel suo punto più spesso.

Per esempio, la correlazione tra l’area di sezione trasversale fisiologica e la forza contrattile muscolare era pari soltanto a r=0.14, e la correlazione tra il massimo momento torcente all’estensione del ginocchio e il volume muscolare dei quadricipiti era solo di r=0.15. Entrambe queste correlazioni, deboli, stanno a significare che il cambiamento di massa spiega solo il 2% della variazione nel guadagno di forza.

Ad ogni modo, la correlazione tra gli aumenti nel massimo momento torcente all’estensione del ginocchio e gli aumenti in ACSA era pari a r=0.48, il che significa che circa il 23% dell’aumento di forza potrebbe essere spiegato da un aumento nella dimensione del muscolo.

Vale anche la pena ricordare che il fattore che si è messo più fortemente in correlazione con i guadagni di forza è l’aumento di NMF: r=0.79, che ci fa capire come gli aumenti di NMF possono spiegare circa il 62.4% della variazione nei guadagni di forza.

In un altro studio di Erskine, inizialmente i partecipanti non allenati hanno esercitato i flessori del gomito (ovvero hanno fatto curl) per tre settimane così da da facilitare qualsiasi adattamento neurologico precoce, sono stati fermi per sei settimane in modo da perdere ogni aumento muscolare che avrebbero potuto guadagnare nelle tre settimane di allenamento e poi hanno nuovamente allenato i flessori del gomito per dodici settimane.

I guadagni in volume muscolare durante il periodo di allenamento di 12 settimane sono entrati in correlazione con i guadagni in termini di forza: r=0.527 per i guadagni nella massima forza isometrica volontaria, e r=0.482 per aumenti nei curls dei bicipiti 1rm. Questo significa che tenendo conto dei primi precoci guadagni neurologici, i cambiamenti nel volume muscolare spiegavano circa il 23/27% della variazione nei guadagni di forza.

Finora ci sono soltanto due studi condotti su sollevatori di pesi allenati.

Il primo, condotto da Baker, ha coinvolto sollevatori con almeno sei mesi di allenamento all’attivo e che dovevano essere capaci almeno di 1 rep alla bench press con il proprio peso corporeo.

Nel corso delle 12 settimane di studio, la correlazione tra i guadagni di massa magra (LBM – una buona approssimazione per la massa muscolare, dando per scontato che non ci siano cambiamenti macroscopici nei livelli di glicogeno nei muscoli o nello stato di idratazione) e i guadagni nella forza espressa in squat e bench press è stata rispettivamente di r=0.59 e r=68, e “una correlazione multipla tra i cambiamenti nella forza di squat e bench press e quelli in LBM ha rivelato una relazione anche più forte (r=0.81, r2=0.65), il che suggerisce che i cambiamenti di LBM sono i principali fattori dell’accrescimento di forza massima in atleti di questo livello”.

In altre parole, i guadagni in massa magra hanno spiegato circa il 35% della variazione in squat, il 46% della variazione in bench e il 65% del guadagno in entrambi i sollevamenti combinati.

Il secondo studio, di Appleby, ha scoperto che in un periodo di due anni i guadagni nell’indice di massa magra – LMI (LBM diviso per il quadrato dell’altezza – come il BMI, soltanto con la massa magra al posto di quella totale) – entrava fortemente in correlazione con i guadagni di forza negli squat (r=0.692-0.880), ma non con quelli della forza nella bench press (r=0.244-0.314), il che significa che il guadagno in LMI spiega circa il 48-77% dei guadagni in termini di forza di squat, ma soltanto il 6-10% della variazione di forza in bench press.

Forse potevamo attenderci la forte relazione tra i cambiamenti di LMI e quelli negli squat 1rm a dispetto di quella (assente) tra i cambiamenti di LMI e quelli di forza in bench press, dal momento che lo squat testa la forza di una porzione molto più grande della massa muscolare. Ad ogni modo, questa scoperta in qualche modo contrasta con quella di Baker, secondo cui i cambiamenti di LBM dovrebbero prevedere guadagni di forza in bench press piuttosto che cambiamenti nella forza di squat.

Prendendo insieme i due studi, emerge chiaramente una tendenza: nel caso di una popolazione non allenata, la relazione tra il guadagno muscolare e quello in termini di forza è debole e tenue, ma non appena il grado di allenamento si alza, anche la relazione si rafforza. Dopo un periodo di adattamento di sole tre settimane la correlazione cresce fino a r~0.5, mentre la correlazione media vista negli studi di Baker e Appleby era già forte di suo.

A questo punto la prossima domanda logica diventa: c’è una qualche ragione per aspettarsi che la relazione si rafforzi nel tempo?

In realtà sì. Sopratutto all’inizio di un programma di allenamento, i guadagni in forza superano di gran lunga quelli in massa muscolare. Di fatto, molti studi mostrano aumenti piccoli o nulli nella massa entro le prime quattro o sei settimane di allenamento (e gli studi che mostrano ipertrofia precoce possono essere stati confusi da stati muscolari di gonfiore o infiammazione), mentre il guadagno di forza inizia dal primo giorno. Le due spiegazioni più plausibili sono i guadagni precoci nell’abilità motoria (che matura molto rapidamente durante le primissime sessioni di allenamento) e guadagni precoci in NMF. Ricorda: in questo studio gli aumenti precoci in NFM entravano in salda correlazione con i cambiamenti nella forza, dando conto per circa il 60/65% della variabilità nei guadagni di forza.

I dati di Narici lo mostrano in modo ottimale:

Come puoi vedere, dopo due mesi di allenamento la forza è cresciuta di circa il 15% mentre la massa muscolare solo del 5%. Dal momento che la misura della forza in questo caso era una contrazione isometrica (Maximum Voluntary Contraction – MVC), l’aumento sproporzionato di forza deve essere dovuto ad un aumento di NMF (sostanzialmente le persone hanno accesso a tutta la propria forza per un MVC anche quando non sono allenate, il che significa che l’apprendimento di abilità non gioca un ruolo troppo significativo in questo caso). Ad ogni modo, dopo il secondo mese forza e massa muscolare iniziano ad andare di pari passo, crescendo entrambe di circa il 5% ogni mese.

Quindi:

  1. Sembra che la maggior parte dei cambiamenti in NMF abbia luogo entro i primi due mesi di allenamento.
  2. I cambiamenti di NMF sono i più forti anticipatori dei primi cambiamenti nella forza.
  3. C’è una considerevole variabilità nei cambiamenti di NMF (17±11%), il che significa che ci aspetteremmo guadagni di forza con lo stesso grado di variabilità indipendentemente dai cambiamenti nella massa muscolare.
  4. Se teniamo conto delle differenze nell’acquisizione delle abilità e del ruolo che possono giocare nello sviluppo della forza nei movimenti più complessi, ci aspetteremmo anche più variabilità nei guadagni di forza indipendentemente dall’ipertrofia.

Pertanto, la mancanza di correlazione tra ipertrofia e guadagno di forza nel caso di partecipanti non allenati non dovrebbe sorprenderci.

Allo stesso modo, ha anche senso che la relazione si rafforzi con il tempo dopo la prima, rapida e variabile acquisizione di abilità motoria e dopo aver raggiunto gli aumenti in NMF. Una volta rimosse le due più grandi fonti di variabilità (o, almeno, una volta che il loro contributo all’aumento di forza diminuisce – NMF e acquisizione di abilità specifiche), ci aspetteremmo che la crescita muscolare sia un indicatore predittivo dei guadagni in forza.

Continua…

Quanto è importante la crescita muscolare per l’incremento della forza? (parte 4)

Affrontiamo in questa quarta parte (le altre le trovate qui: parte 1parte 2parte 3), le variabili antropometriche che influiscono sulla determinazione della forza.

Antropometria: effetti sulle esigenze a livello articolare per l’espressione della forza

In precedenza abbiamo trattato i fattori che influenzano quanta forza può produrre un muscolo (sia in relazione alla dimensione e all’architettura che indipendentemente da queste) e il modo in cui tale forza può essere tradotta in momenti articolari (attraverso variazioni e cambiamenti nei bracci di momento muscolare).

In aggiunta a questi fattori, il modo in cui sei fatto – cioè la tua antropometria – può influenzare l’ammontare di peso che puoi sollevare indipendentemente dalla tua capacità di produrre ampi momenti articolari.

Prendiamo ad esempio gli squat – la somma netta dei momenti di estensione di ginocchio e anca necessaria a sollevare un peso può essere approssimata con la seguente equazione: somma netta dei momenti estensori richiesti a ginocchio + anca = carico X lunghezza del femore X cos(angolo del femore). In altre parole, a una data profondità e con un dato carico, il fabbisogno totale della parte inferiore del corpo nello squat è determinato dalla lunghezza del tuo femore. Se i muscoli di due persone si contraggono con il medesimo ammontare di forza e con punti di ancoraggio identici, ma i femori della Persona A sono più lunghi del 20% rispetto a quelli del partner, la Persona B otterrà una forza nello squat maggiore del 20%.

Ora, nel mondo reale non c’è la tendenza a fare tutta questa gran differenza, poiché i punti di ancoraggio possono ridimensionare la lunghezza ossea nella media (in questo modo dalla persona con il femore più lungo del 20% ci si potrebbe aspettare un braccio del momento muscolare più lungo del 20%, negando di fatto la lunghezza femorale extra).

Non è del tutto chiaro se il caso sia o meno questo, dal momento che i sollevatori di pesi con un crural index (una tibia più lunga relativamente alla lunghezza del femore) maggiore tendono a fare squat sollevando di più rispetto a quanto sollevano powerlifters con un crural index inferiore, ma almeno la differenza tra le performances non è ampio quanto ci si aspetterebbe basandosi esclusivamente sull’antropometria.

Indipendentemente da qualsiasi altra cosa, le lunghezze dei segmenti corporei possono avere un grande impatto sulla performance, ma è meno chiara l’entità della differenza che possono fare nel mondo reale dal momento che le lunghezze dei segmenti e i bracci del momento muscolare potrebbero influenzarsi di pari passo riportandosi nella media.

Ad ogni modo l’antropometria può facilmente giocare una parte nello spiegare il nostro primo rompicapo (una persona più minuta che batte nel sollevamento un individuo più grosso) se il tipo più piccolo ha lunghezze di segmento favorevoli (ad esempio femori corti per lo squat o braccia corte per la panca) e il tizio corpulento invece è sfavorito dallo stesso punto di vista, ma entrambi hanno bracci del momento muscolare simili. D’altro canto, la tua antropometria non cambia con l’esercizio, per cui i fattori antropometrici non riescono a spiegare più di tanto lo sproporzionato aumento di forza che si acquisisce con l’allenamento.

Continua…