Le spalle: 2 info per allenarle al meglio

Nel mondo della palestra molto spesso viene data maggiore importanza a petto e braccia, soprattutto i neofiti si concentrano su questi muscoli mettendo in secondo piano gambe, schiena e spalle. Oggi parleremo proprio di queste e di quanto siano fondamentali per migliorare il proprio fisico.

La spalla come dicevo sopra è di fondamentale importanza per migliorare il proprio fisico, avere spalle sviluppate in toto, migliora le proporzioni della parte superiore del nostro corpo più di qualsiasi altro muscolo. Il tanto ricercato v-shape o semplicemente fisico a V è l’obbiettivo primario per i nostri canoni estetici e per chi non ha una genetica, insomma ha la vita larga….. le spalle sono la nostra arma segreta per cambiare le cose.

In poche parole voglio dire che avere spalle ben sviluppate cambierà in meglio il vostro corpo e non di poco, e inoltre valorizzerà tutti gli altri muscoli, ma soprattutto la vostra vita sembrerà molto più stretta.

Ci sono stati molti campioni di bodybuilding che purtroppo avevano una vita molto larga, ed è proprio grazie ad un grande lavoro fatto sulle proprie spalle che sono riusciti ad ottenere grandi risultati estetici, battendo anche gente più dotata…… quindi non ci sono scuse volere è potere, il resto tocca a voi.

Vediamo ora come lavorarle al meglio:

La spalla è una delle articolazioni più complesse del nostro corpo, proviamo a vedere i fattori più importanti da tenere in considerazione per poterle allenare al meglio.

1: FUNZIONE DEL MUSCOLO DELTOIDE

Da adesso non useremo più la parola spalla, ma muscolo deltoide. Questo muscolo è diviso in 3 capi:

Deltoide anteriore: flette (o eleva) fino a 180°, flette (o adduce) in orizzontale, abduce (soprattutto a braccio extrarotato) fino a 180°, partecipa debolmente all’intrarotazione del braccio.

Deltoide laterale: abduce e flette (soprattutto a braccio intrarotato) fino a 180°, partecipa debolmente all’extrarotazione e all’estensione orizzontale del braccio.

Deltoide posteriore: estende (o abbassa), estende (o abduce) in orizzontale, adduce, retropone, partecipa all’extrarotazione del braccio.

Lo so, per molti queste cose sono noiose, ma necessarie per capire al meglio come allenare i propri muscoli al meglio e soprattutto come evitare infortuni.

2: SCELTA DEGLI ESERCIZI

Molto spesso, come dicevamo all’inizio, la spalla viene spesso sotto allenata, soprattutto il deltoide posteriore. Molte persone, a volte anche ottimi atleti hanno dei bei deltoidi ma alla vista laterale manca completamente il deltoide posteriore. I muscoli che non si vedono sono quelli che vengono dimenticati più spesso. Dovete inserire nella scheda degli esercizi specifici per i deltoidi posteriori, potete allenarli benissimo nello stesso giorno in cui allenate i dorsali in quanto vengono già attivati negli esercizi per il dorso, ma ripeto non basta a stimolarli quindi dovete per forza inserire esercizi specifici in modo da dare al deltoide uno stimolo ipertrofico sufficiente.

Il deltoide anteriore è stimolato moltissimo con gli esercizi per il petto, a volte persino troppo, quindi cercate in primis di capire come lavorarli, a volte capita che nella sessione per il petto si sentano più affaticati i deltoidi anteriori che il pettorale….. in quel caso correggete la tecnica con il vostro allenatore o P.T. e decidete un esercizio specifico per i deltoidi anteriori.

Il deltoide laterale è il vero protagonista, quello che fa la vera differenza. Allenatelo insieme al giorno per il petto o almeno due giorni dopo. Il mio consiglio è di fare almeno 2 esercizi specifici per stimolarli, anche 3 se siete carenti e volete svilupparlo al meglio. Ripeto è proprio questa porzione di muscolo quella che fa la maggiore differenza. Migliorerà il tanto ricercato effetto a V, facendo sembrare la vita più stretta e poi l’effetto di 2 spalle a palla di cannone non ha eguali.

Cuffia dei rotatori: alcuni test per indagarne la funzionalità

In palestra, purtroppo, sono frequenti lesioni alla spalla causate dalla cattiva esecuzione di alcuni esercizi o da altre cause esterne. Tali lesioni, spesso, sono indice di stati infiammatori a carico dei tendini della cuffia dei rotatori, un insieme di quattro muscoli (sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare) che grazie al loro lavoro sinergico e ai rispettivi tendini contribuiscono a garantire la stabilità dell’articolazione scapolo-omerale. In questo articolo vorrei presentare alcuni tra i più comuni test da poter eseguire per discriminare lo stato infiammatorio o eventuali lesioni a carico dei diversi muscoli coinvolti nella stabilità articolare.

TEST DI JOBE: questo test valuta una possibile infiammazione o lesione del tendine del  sovraspinatoIl soggetto deve mantenere il braccio abdotto a 90°, sul piano scapolare (30-45°) e in intrarotazione (pollici rivolti verso il basso). Da questa posizione, il soggetto effettua una spinta verso l’alto, contrastata manualmente dal valutatore. La positività al test è determinata dalla comparsa di dolore e/o da una diminuzione della resistenza alla spinta ricevuta.

Lo stesso test può essere eseguito anche in posizione di decubito supino, in quanto permette una valutazione più accurata del sovraspinato, poichè lo sgrava dal carico gravitario. In decubito supino, l’abduzione del braccio per la corretta esecuzione del test viene raggiunta con un minore impegno del deltoide, consentendo una migliore valutazione del sovraspinato e del suo tendine.

TEST DI ROTAZIONE ESTERNA CONTRO RESISTENZA IN ADDUZIONE: il paziente posto di fronte all’esaminatore con le spalle addotte (gomiti aderenti al busto) e gomiti flessi a 90° esegue una spinta in extrarotazione contro la resistenza offerta dall’esaminatore. Questo test valuta il muscolo sottospinato ed è positivo alla comparsa di dolore durante l’azione di extrarotazione.

TEST DI PATTE: anche questo test va ad esaminare il muscolo sottospinato ed eventuali suoi stati di sofferenza, in questo caso il paziente si posiziona con la spalla abdotta a 90° ed il gomito flesso sempre a 90°, egli deve eseguire una spinta in extrarotazione contro una resistenza offerta dall’esaminatore.

 

 

Il LIFT-OFF TEST o TEST DI GERBER: viene eseguito in caso di sospetta lesione del tendine del muscolo sottoscapolare. Il test consiste nel posizionarsi con il dorso della mano appoggiato sulla zona lombare, da questa posizione si esercita una spinta con la mano a contrastare la resistenza offerta dall’esaminatore sollevando attivamente il dorso della mano dalla colonna vertebrale.

La corretta esecuzione del test è notevolmente influenzata dalla mobilità scapolo-omerale del soggetto per poter raggiungere la posizione di partenza del test di Gerber. Nel caso non ci siano particolari limitazioni ed il soggetto riesce ad assumere correttamente la posizione allora si può procedere alla valutazione funzionale del muscolo sottoscapolare, che non dovrebbe dare segnali dolorifici durante l’esecuzione della manovra.

DROP SIGN: questo test in realtà non è un vero test, ma una manovra che potrebbe essere applicata a tutti i test precedentemente esposti.  Il Drop sign consiste nel far raggiungere passivamente una determinata posizione al paziente (es. come nel lift-off test o nel test di Jobe) grazie all’aiuto dell’esaminatore, una volta raggiunta la posizione, l’esaminatore abbandona il braccio del paziente, se quest’ultimo non riesce a mantenere la posizione raggiunta il test si considera positivo ed è indice di una probabile lesione o scarsa funzionalità del muscolo indagato dal test.

Accenni di biomeccanica della scapola

In questo articolo ho voluto affrontare la biomeccanica della scapola attraverso la libera traduzione di un articolo di ricerca che avevo letto qualche mese fa. L’idea è nata dal fatto che ho sofferto per diverso tempo di dolore alla spalla, ma nonostante gli esami avessero dato esito negativo e quindi nessun danno a nessuna struttura che giustificasse tale fastidio, continuavo a non avere una corretta funzionalità della mia spalla destra. Questo almeno finchè non ho iniziato a considerare di indagare il corretto ritmo scapolo-toracico e scapolo-omerale, evidenziando un probabile deficit di forza nei muscoli romboidi proprio della spalla dolorante.

La comprensione e l’interesse per il ruolo della biomeccanica della scapola nella funzione degli arti superiori è cresciuta considerevolmente negli ultimi anni. Poiché la comprensione della spalla e delle strutture circostanti è aumentata, è ormai assodato che la scapola sia essenziale per garantire una funzione della ottimale spalla nel momento in cui l’anatomia scapolo-omerale e la biomeccanica interagiscono per produrre movimento efficiente. Nella normale funzione del comparto superiore, la scapola fornisce una stabilità di base da cui dipende la mobilità gleno-omerale. La stabilità dell’articolazione scapolo-toracica dipende, invece, dall’attività coordinata della muscolatura circostante. I muscoli scapolari devono posizionare dinamicamente la glenoide in modo che si possa verificare un movimento gleno-omerale efficace. Quando la debolezza o la disfunzione della muscolatura scapolare sono presenti, il posizionamento e la meccanica scapolare normali possono alterarsi. Quando la scapola non riesce a svolgere il suo ruolo di stabilizzazione, la funzione complessiva della spalla è inefficiente, il che può risultare non solo in una diminuzione della prestazione neuromuscolare ma anche può predisporre l’individuo a fastidi o alla lesione dell’articolazione gleno-omerale.

Solo attraverso la comprensione della normale biomeccanica si può comprendere la patomeccanica della lesione o della disfunzione. L’articolazione scapolo-toracica è una delle articolazioni meno congruenti del corpo. Non esiste alcuna articolazione ossea effettiva tra la scapola e il torace, ciò consente una straordinaria mobilità in molte direzioni, tra cui protrazione, retrazione, elevazione, depressione, tilt anteriore, tilt posteriore, rotazione interna, rotazione esterna, rotazione verso il basso e rotazione verso l’alto. Quando si descrivono le posizioni scapolari, il punto di riferimento è la glenoide. La scapola è solidale al torace solo attraverso una serie di legamenti a livello dell’articolazione acromion-clavicolare e attraverso un meccanismo di “aspirazione” fornito dalle inserzioni muscolari del muscolo dentato anteriore e del muscolo sottoscapolare. Questo meccanismo di “aspirazione” tiene la scapola in stretta rapporto con il torace e gli permette di planare durante i movimenti dell’articolazione.

Mentre molti muscoli servono a stabilizzare la scapola, i principali stabilizzatori sono il muscolo dentato anteriore, i muscoli romboidi maggiore e minore, il muscolo elevatore della scapola e il trapezio. I muscoli coinvolti nell’articolazione gleno-omerale includono i muscoli della cuffia dei rotatori: il sovraspinato, l’infraspinato, il piccolo rotondo e il sottoscapolare. Questo gruppo muscolare funziona attraverso la co-contrazione sinergica per ancorare la scapola e guidare il movimento. Analizziamo i principali muscoli stabilizzatori della scapola.

Muscolo dentato anteriore
 Il muscolo dentato anteriore è un importante muscolo stabilizzatore scapolare. Ha origine dalle prime dieci costole e portandosi tra la parete laterale della gabbia toracica e la faccia anteriore della scapola, va ad inserirsi sul margine mediale/vertebrale della scapola. La porzione superiore dell’inserzione del dentato anteriore si sviluppa lungo il bordo mediale della scapola, mentre la porzione inferiore si inserisce nell’angolo inferiore della scapola. L’innervazione del dentato anteriore è fornita dal lungo nervo toracico, che origina dai rami ventrale del quinto e settimo nervo cranico. A causa dei molteplici siti di attacco, il ruolo principale del dentato anteriore è quello di stabilizzare la scapola durante l’elevazione e di tirare la scapola in avanti facendola scivolare sulla gabbia toracica. L’avanzamento della scapola in posizione anteriore sulla gabbia toracica viene definito protrazione o abduzione della scapola. Il termine protrazione è più frequentemente usato per descrivere questo movimento anteriore al fine di evitare confusione con l’abduzione della spalla. Il movimento di protrazione è coinvolto nelle attività di tipo push (spinte) o punching. Studi tridimensionali hanno dimostrato che il dentato anteriore contribuisce a tutti i componenti dei movimenti scapolari in 3-D durante l’elevazione del braccio, che include la rotazione verso l’alto, il tilt posteriore e la rotazione esterna.

Romboidi
 La funzione dei muscoli romboidi (piccolo e grande) è quella di stabilizzare il bordo mediale della scapola. I romboidi sono molto attivi nell’adduzione o retrazione scapolare, che può essere definita come rotazione all’indietro della scapola verso la colonna vertebrale. Il piccolo romboide ha origine dal processo spinoso della settima cervicale e delle prime vertebre toraciche e si inserisce nel bordo mediale della scapola vicino alla base della spina scapolare. Il grande romboide origina dalla seconda alla quinta vertebra toracica e si inserisce nel bordo scapolare mediale della scapola appena sotto l’inserzione del minore. L’innervazione sia del maggiore romboide che minore è fornita dal nervo scapolare dorsale. Se la debolezza romboide è presente, la scapola non sarà in grado di ottenere la retrazione completa. La retrazione completa è essenziale non solo per il movimento di lancio overhead (gesti in cui il braccio viene portato sopra la testa), ma anche per il nuoto, ad esempio lo stile libero. L’incapacità di raggiungere la posizione completamente retratta durante i movimenti di lancio o overhead può portare a un aumento dello stress sulle strutture anteriori della spalla. Le attività che comportano un movimento di trazione possono essere influenzate dalla mancanza di forza dei romboidi. L’analisi elettromiografica (EMG) ha dimostrato un alto livello di attività dei romboidi durante la fase di accelerazione del gesto di lancio. Questi dati suggeriscono che i romboidi si contraggono eccentricamente durante la fase successiva al lancio per “frenare” l’energia rilasciata durante l’accelerazione. Pertanto, la forza dei muscoli romboidi è vitale per il movimento del lancio e dei gesti overhead. Il rafforzamento di questo gruppo muscolare deve essere enfatizzato quando si riabilitano pazienti con instabilità anteriore.

Trapezio
 Le funzioni del trapezio comprendono la rotazione verso l’alto e l’elevazione per quanto riguarda  il trapezio superiore, la retrazione per il trapezio medio e la rotazione verso l’alto e la depressione per il trapezio inferiore. Inoltre, le fibre infero-mediali del trapezio inferiore possono anche contribuire al tilt posteriore e alla rotazione esterna della scapola durante l’elevazione del braccio. Il trapezio origina dal terzo medio della linea nucale superiore, protuberanza occipitale esterna, legamento nucale, e processi spinosi delle vertebre toraciche e si inserziona distalmente al terzo laterale della clavicola, all’acromion e alla spina della scapola. L’innervazione al trapezio è fornita dal nervo accessorio spinale.

Muscolo elevatore della scapola
Il muscolo elevatore della scapola origina dai tubercoli posteriori dei processi trasversi delle vertebre cervicali 1-4. L’inserzione è lungo il bordo mediale della scapola a livello della spina scapolare. L’innervazione è fornita dal plesso cervicale (C3, C4) con frequenti contributi dal nervo scapolare dorsale. L’elevatore della scapola serve, come suggerito dal nome, per elevare la scapola e inclinare la cavità glenoidea inferiormente ruotando la scapola verso il basso. Esercizi utilizzati per rafforzare la cuffia dei rotatori e la muscolatura scapolo-toracica sono anche efficaci nell’attivare il muscolo elevatore della scapola, rendendo spesso non necessari esercizi specifici per sollecitare questo muscolo.

Accenni di biomeccanica
Meccanicamente, il movimento accoppiato coordinato tra la scapola e l’omero, spesso definito ritmo scapolo-omerale, è necessario per un efficiente movimento del braccio e consente l’allineamento gleno-omerale al fine di massimizzare la stabilità articolare. Gli studi che esaminano la meccanica e il ruolo della scapola nella funzione della spalla sono progrediti nel corso del tempo, con i primi studi che esaminarono il movimento scapolare bidimensionale con l’uso di radiografie, risalenti a Inman et al. 1964. Inman et al. trovarono una relazione 2: 1 tra l’elevazione gleno-omerale e la rotazione ascendente scapolare, che è rimasta la descrizione classica del cosiddetto ritmo scapolo-omerale. Un’analisi clinicamente più rilevante del movimento scapolare è stata condotta in diversi studi tridimensionali usando marcatori di superficie e perni ossei interni. McClure et al. hanno scoperto che durante l’elevazione del braccio sul piano scapolare in soggetti normali, c’era un modello coerente di rotazione scapolare verso l’alto, tilt posteriore e rotazione esterna con contemporanea elevazione e retrazione della clavicola. La rotazione ascendente scapolare è il movimento scapolo-toracico predominante.