L’esercizio come medicina (parte 1)

In questo nuovo articolo vorrei affrontare dal punto di vista scientifico i pro e i contro dell’esercizio fisico inteso come cura e come mezzo per promuovere la salute. Preannuncio che sarà un articolo piuttosto corposo e quindi ho preferito spezzettarlo in più parti che pubblicherò nei prossimi giorni. Come sempre vi ricordo che questa è una traduzione e qui potete consultare l’articolo originale in inglese redatto da Vina et al.. Ora basta con le presentazioni e passiamo ai fatti!

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Gli effetti benefici dell’esercizio regolare per la promozione della salute e la cura delle malattie sono stati chiaramente dimostrati. In questo articolo vogliamo postulare l’idea che l’esercizio possa essere considerato al pari di una medicina. L’esercizio causa una miriade di effetti benefici sulla salute, incluso l’allungamento delle prospettive di vita, che verranno trattate nella prima sezione di questo studio.
Successivamente tratteremo il dosaggio dell’esercizio: come per tante medicine, la quantità è estremamente importante per ottenere effetti positivi. A tal fine, l’organismo si adatta all’esercizio. Il nostro studio affronta le vie di trasduzione del segnale a livello molecolare che vengono coinvolte nell’adattamento, perché comprenderle è di estrema importanza per diventare capaci di prescrivere l’esercizio in maniera appropriata.
Un’attenzione speciale dev’essere riservata agli effetti psicologici dell’esercizio: questi sono così potenti che vorremmo proporre di considerare l’esercizio come un farmaco psicoattivo. In dosi moderate il movimento causa effetti rilassanti molto pronunciati sulla maggioranza della popolazione, ma alcune persone arrivano persino a diventarne dipendenti.
Infine, potrebbero esserci alcune controindicazioni che si presenterebbero nel caso di persone gravemente malate, e queste saranno trattate nella parte finale dell’articolo.
La nostra conclusione generale è che l’esercizio è così efficace che dovrebbe essere considerato come un farmaco, e di conseguenza bisognerebbe prestare più attenzione al suo dosaggio e alle variazioni individuali tra pazienti.

Esercizio, movimento e salute: definizioni

La promozione della salute è la scienza e l’arte di aiutare le persone a cambiare il loro stile di vita per andare verso uno stato di salute ottimale (O’Donnell, 1986). L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “benessere fisico, mentale e sociale, non semplicemente l’assenza di malattia e infermità”. L’idoneità di forma fisica è definita come stato fisiologico del benessere che consente a ciascuno di affrontare le esigenze della vita quotidiana (idoneità fisica legata alla salute) o che fornisce le basi per la performance sportiva (idoneità fisica legata alla performance), o entrambe le cose.
Anche se siamo coscienti del fatto che c’è una chiara differenza tra i termini “attività fisica” (“ogni movimento corporeo”) ed “esercizio” (“un sottoinsieme di attività fisica caratterizzato da un allenamento pianificato e mirato”, Caspersen et al., 1985), in questo articolo useremo questi due concetti come sinonimi dal momento che alcuni degli studi cui faremo riferimento usano i due termini in maniera intercambiabile.

Contesto storico

L’ipotesi che l’attività fisica promuova la salute e la longevità non è nuova. Sono stati rinvenuti documenti risalenti all’antica Cina, dal 2500 a.C., che costituiscono la prova dell’esistenza di una forma di esercizio organizzato per la promozione della salute (Lyons e RJja, 1978; Lee e Skerrett, 2001). In epoca greco-romana, 2500 anni fa, prima Ippocrate (460–370 a.C.) e poi Galeno (129-210 d.C.) avevano riconosciuto il bisogno di promuovere e prescrivere esercizi per ottenere benefici legati alla salute e l’esigenza di fornire cure mediche generali agli atleti (Speed e Jaques, 2010).
A questo proposito, il filosofo Platone (427–347 a.C.) diceva che “l’assenza di attività distrugge la buona condizione di ogni essere vivente, mentre il movimento e l’esercizio fisico condotto con metodo la salvano e preservano” (Fox e Haskell, 1968).
Semplici comparazioni tra uomini impiegati in diverse occupazioni hanno fornito le prime prove empiriche del fatto che l’attività fisica veniva associata alla salute. I primi studi che dimostravano una relazione inversa significativa tra attività fisica e malattie cardiovascolari coronariche sono state quelle condotte da Morris et al. (1953) a Londra nei primi anni ’50.
Questi autori avevano scoperto che i controllori di autobus di Londra avevano solo il 73% di frequenza di malattie cardiovascolari coronariche rispetto ai colleghi conducenti, meno attivi. La comparazione condotta successivamente sui postini e sugli impiegati postali (meno attivi) ha poi prodotto risultati molto simili (Morris et al., 1953). Questi studi seminali sono stati seguiti da quelli di Paffenbarger e i suoi collaboratori negli anni ’70, che hanno portato alla valutazione dell’aumento di rischio relativo di morte per cause generali e per malattie specifiche associate all’inattività fisica (Paffenbarger e Hale, 1975; Paffenbarger et al., 1978).

La specificità dell’allenamento conduce a incrementi di forza specifici

Ormai è un dato assodato che la forza sia una capacità condizionale specifica, ossia se io mi alleno per poter aumentare l’espressione di forza di un determianto gruppo muscolare, l’incremento di forza che otterrò sarà molto probabilmente limitato alle modalità con cui ho svolto il mio allenamento. Se mi allenao nello squat otterrò migliori risultati nello squat ma non necessariamente sarò un migliore sprinter, lanciatore o altro, per questo motivo l’allenamento della forza deve prevedere anche pattern motori il più simili possibile ai gesti sport specifici.

Andiamo a vedere alcune considerazioni e fattori che influenzano gli incrementi della forza:

  • Il tipo di carico esterno: il tipo di carico esterno causa guadagni di forza specifici in base alla velocità e all’ampiezza del movimento (Range of Motion – ROM), ciò a causa delle differenze nel picco di contrazione e della velocità di spostamento del carico tra carichi costanti (tipo bilancieri) e resistenze variabili (ad esmpio gli elastici).
  • Il vettore della forza: il vettore della forza causa incrementi di forza specifici al ROM e alla muscolatura coinvolta, questo a causa dei differenti picchi di forza ma anche dei diversi pattern motori, come possiamo leggere qui.
  • I gruppi muscolari: i singoli muscoli rispondono agli allenamenti di forza incrementando il loro volume. Questo aspetto è specifico del muscolo coinvolto nell’allenamento e non coinvolge tutto il corpo nella sua interezza.
  • La stabilità: l’allenamento della forza su superfici instabili o con strumenti instabili causerà un proporzionale incremento della forza su superfici instabili o con strumenti instabili, viceversa vale la stessa cosa se effettuata su superfici stabili o attraverso attrezzature stabili (tipo macchinari).
  • Il ROM: se la forza viene allenata sfruttando l’intero ROM articolare, la forza sarà aumentata in tutto l0arco di movimento utilizzato in allenamento, mentre se nelle sedute di allenamento si utilizzano ROM parziali i guadagni di forza saranno relativi solamente ai gradi di movimento articolare esercitati durante il training. E’ possibile sfruttare a proprio vantaggio questa condizione ad esempio nella preparazione atletica, come illustrato qui.
  • Forza o Resistenza: L’allenamento effettuato con alti carichi porterà ad un incremento della massima forza, mentre allenamenti effettuati con carichi leggeri e portati a cedimento muscolare condurranno a migliori prestazioni nell’ambito della resistenza muscolare alla forza (come spiegato qui).
  • La Velocità: l’allenamento ad alte velocità porta ad un incremento della forza esplicitata ad alte velocità, così come l’allenamento della forza a basse velocità incrementerà l’espressione di forza a basse velocità.
  • La modalità di contrazione muscolare: l’allenamento eseguito in modalità eccentrica favorisce lo sviluppo di forza in fase eccentrica (come è possbile leggere qui), la stessa cosa varrà ovviamente se l’allenamento è eseguito in modalità concentrica o isometrica.

In conclusione possiamo affermare che l’incremento della forza è strettamente dipendente dalle modalità attraverso cui tale capacità viene condizionata, per cui bisognerà tenerne conto in fase di preparazione atletica o di recupero dagli infortuni al fine di massimizzare l’effetto richiesto.

Correre con il sorriso migliora la tua performance

 Mi ha colpito molto questo articolo che spiega come correre sorridendo posso avere effetti positivi sull’incremento della performance sulle lunghe distanze, pertanto ho deciso di tradurlo (seppur abbastanza liberamente) e magari chissà qualcuno potrebbe prenderne spunto e verificare ulteriormente sul campo la veridicità di questa affermazione!

“Quando ho corso la mia prima maratona, ho piazzato la mia famiglia e gli amici in posizioni cruciali lungo il percorso con istruzioni precise per farmi sorridere mentre correvo…

Avevo inventato questo sistema strampalato basato su una serie di studi di Samuele Marcora, ricercatore presso l’Università di Kent, che ha dimostrato che si potrebbe fare una stima ragionevole di quanto pesante uno sforzo viene percepito misurando l’attivazione dei muscoli coinvolti nel sorriso o di quelli coinvolti nell’accigliarsi. Sulla base dell'”ipotesi di feedback facciale”, un’idea che risale a Charles Darwin, Marcora ha proposto che tale rapporto possa funzionare nella direzione opposta, ovvero: un duro sforzo ti faccia accigliare e, viceversa, il broncio/l’accigliarsi potrebbe far sì che uno sforzo venga percepito più difficoltoso: mentre sorridere potrebbe renderlo più leggero. Questa idea mi è balenata in mente all’inizio di quest’anno, quando stavo guardando la maratona Nike Breaking2. Mentre la corsa andava avanti – e, presumibilmente, lo sforzo fisico e mentale aumentava – era impossibile non notare il sorriso luminoso, apparentemente allegro che si irraggiava nel viso di Eliud Kipchoge. I sorrisi di Kipchoge erano una tattica deliberata per rilassarsi e correre nonostante l’aumento significativo della fatica.

La strategia di Kipchoge fa effettivamente la differenza? Un nuovo studio nella rivista Psychology of Sport and Exercise di Noel Brick e i suoi colleghi all’università di Ulster esplora proprio questa domanda. Essi hanno preso 24 corridori i quali dovevano completare una serie di quattro corse di sei minuti e misurarono la loro economia di corsa (il parametro di efficienza è basato sulla quantità di ossigeno che si consuma ad un ritmo determinato), così come le le percezioni degli atleti, come ad esempio lo sforzo. Durante le prove, i volontari sono stati istruiti a sorridere, aggrottare il viso, rilassare le mani e la parte superiore del corpo (immaginando, ad esempio, che stavano tenendo delle patatine tra il pollice e le dita senza romperle), o semplicemente pensando ai loro soliti pensieri.

I risultati supportarono i benefici del sorriso. L’economia della corsa era poco più del 2 per cento migliore quando si sorrideva – un miglioramento che è paragonabile a quello che vedete negli studi di settimane o mesi di pliometria o allenamento con alti sovraccarichi.

Ecco come sembrava il consumo di ossigeno nelle quattro condizioni:

Dal punto di vista dell’ipotesi, è un po ‘sorprendente che l’economia della corsa non fosse significativamente peggiore nelle condizioni di broncio/aggrottamento del viso. D’altra parte, lo sforzo percepito è stato significativamente più elevato nelle condizioni di “broncio” rispetto agli altri. Marcora afferma che l’aumento dello sforzo è altrettanto significativo per le prestazioni al pari di un calo nell’economia di corsa. Lo sforzo percepito, dopo tutto, è ciò che determina se decidi di accelerare o rallentare.

Ci sono alcune sottigliezze interessanti nei risultati. Dieci dei 13 volontari maschi avevano migliorato l’economia di corsa quando sorridevano; mentre solo per quattro delle 11 volontarie donne il sorridere ha prodotto un incremente nell’economia della corsa. Brick cita una ricerca precedente che mostra che la percezione dello sforzo può essere alterata in presenza di un esaminatore di sesso opposto: gli uomini, ad esempio, affermano che tutto è facile quando lo scienziato che sta conducendo l’esperimento è una donna. Allo stesso modo, egli suggerisce, “un esperto maschio che chiede alle partecipanti femminili di sorridere in un ambiente sociale sconosciuto può involontariamente invocare preoccupazioni riguardo l’auto-presentazione e l’immagine di sé”.  Ad ogni modo, ripetere lo studio con uno sperimentatore femminile è uno dei suggerimenti degli autori per il futuro lavoro.

In una nota correlata all’esperimento, l’efficacia del sorriso può dipendere dalla produzione di un sorriso “reale”, che prevede “l’attivazione simmetrica del muscolo zigomatico maggiore e l’attivazione del muscolo orbicolare dell’occhio”. In altri termini significa sorridere con gli occhi, le guance e la bocca, e questo è ciò che è stato richiesto di fare ai volontari.

L’idea di migliorare l’economia della corsa – un aspetto che è notoriamente difficile da migliorare migliorando l’assetto della corsa – semplicemente sorridendo è considerevole. La spiegazione più probabile è che il sorriso favorisce uno stato emotivo più rilassato, a sua volta riducendo l’attività del sistema nervoso simpatico (che può influenzare la frequenza cardiaca) e la tensione muscolare, consentendo di correre in modo più efficiente. C’è ancora molto da indagare per confermare questa idea, ma per ora è un’indicazione senza rischi da provare.”